
23 Ott Maschere di carta – Ep.4
Hai già letto le puntate precedenti?
Maschere di carta – episodio 1
Maschere di carta – episodio 2
Maschere di carta – episodio 3
Sarah ride. È davanti al suo Mac che sta lavorando, quando squilla il telefono.
“Sarah? Sono Jad, ricordi, ci siamo visti ieri…”.
“Certo che ricordo… ma… tu come hai avuto il mio numero? E come hai scoperto il mio nome?”.
“Te l’ho detto… sono un uomo che ottiene sempre quello che vuole. Adesso ascolta…” il suo tono è stranamente eccitante, e un pensiero peccaminoso attraversa la mente di Sarah per un istante, una mano si muove quasi involontaria verso l’inguine. “So che questa sera avresti dovuto lavorare… Ma hai ancora due giorni per consegnare il progetto finito al cliente, giusto?”.
“Ma cosa…”.
“Sono sincero. Se tu fossi un’altra ragazza, avrei approcciato in modo completamente diverso… Ma ieri sera mi è sembrato chiaro che sei una che non si lascia intimorire… e con cui devo agire con un certo stile, se voglio ottenere un risultato”.
“Ah… quindi? Sentiamo…”.
“Te l’ho detto … tu mi hai colpito. E ti assicuro che non capita spesso. Ti avrei pagato davvero centocinquantamila euro per quel disegno, lo sai?”.
Sarah ride: “Lo so”.
“Ma tu hai rifiutato… Wow”.
“Non mi lascio comprare”.
“Sarah… un’auto sta per giungere a casa tua nei prossimi venti minuti. Una mia assistente ti sta per consegnare un abito… So che sarà di tuo gusto”.
“Ma…”.
“Niente, ma… A dopo”.
“A dopo”.
Jad versa il Gewurztraminer nei calici di cristallo e ne porge uno a Sarah. Nell’abito di Zuahir Murad che le ha regalato, sta d’incanto.
“Brindiamo”.
“Brindiamo”.
Le cinge la vita con un braccio e si avvicina. Sarah sorride, beve e si scosta delicatamente, avvicinandosi al divano, sfiorando lo schienale di pelle nera con le dita. Si trovano in un ristorante da due stelle Michelin, sul Naviglio Pavese e stanno degustando un menù di sette portate realizzato apposta per loro. Parlano e approfondiscono la reciproca conoscenza, tra insalata di foglie d’ostrica con salmone e alga wakame, caviale, gamberi rossi, anemoni di mare e altre prelibatezze. Parlano poco e bevono molto e poi Sarah guarda verso una delle ampie vetrate, in cui lei e Jad sono riflessi. Osserva il proprio viso, bello, delicato, eppure spento. É bianco e perfetto come quello di un cadavere truccato e preparato per essere esposto in camera mortuaria. E mentre fissa quegli occhi, essi si tingono di nero come due opali lucide, da cui scendono lacrime scure e dense come pece.
“Hai voglia di fare un salto da me?”.
Dieci minuti dopo una folle corsa con l’Audi R8 di Jad, arrivano a casa di lui. Abita in zona Isola, in un attico all’ultimo piano dalla cui vetrata si vedeva la madonnina. Nello Skyline, i grattacieli di più recente costruzione spiccano come simboli di un nuovo potere, sovrastando la parte storica della città che ne ricorda l’anima remota, in un contrasto in cui si fondono antico e moderno, generando un’immagine senza tempo e di rara bellezza. Sarah adora l’urbanistica e l’architettura, è sempre stata affascinata dalle capacità dell’uomo di costruire e di elevarsi di marcare il proprio territorio, attraverso l’edificazione. Il modo superbo in cui l’uomo conquista e lascia il segno. Una creatura così insignificante che riesce a dominare e avere la meglio su tutte le altre. Sarah si avvicina alla vetrata e punta il suo I-phone 7 verso quel panorama mozzafiato, scattando una foto.
Legge un messaggio su WhatsApp: “Hai già scopato?”. È Simon.
“Anche fosse?”.
“Sono impaziente. Molla quello sfigato e raggiungimi”.
“Devi aspettare”.
“Quando hai finito, sai dove trovarmi”.
Jad le sta servendo altro vino. È un uomo abituato ad avere tutto e subito e quindi Sarah ha deciso che vuole farlo aspettare, impazzire. Sfiorando lo schienale del divano, si lecca le labbra bagnate dal vino e dice: “Hai una bella casa”.
Ovunque posa lo sguardo, l’attico di Jad è un’ostentazione di lusso ed eccesso. La fortuna di quest’uomo è avere gusto. Molto gusto, pensa Sarah, altrimenti quest’appartamento somiglierebbe ad un bazar, invece sembra una fotografia su una rivista di living.
Jad risponde: “Grazie. Sapevo che la casa ti sarebbe piaciuta. Vuoi vedere anche le altre stanze?”.
“Ci siamo” pensa Sarah e lo segue verso la camera da letto.
“Tu sei incredibile”, dice Sarah.
“Perché?”.
“Non essere così compiaciuto… sei davvero convinto che sia un complimento?”.
“E come potrebbe non esserlo”.
“Ma tu lo sai di essere l’incarnazione della superbia?”.
“Io?” risponde piccato. Sorseggia il vino e posando il bicchiere su un ripiano, domanda: “Cosa vuoi dire? Spiegami…”.
La conversazione sta assumendo un tono inatteso, non sono questi argomenti di cui si parla prima di un rapporto ma i sentimenti contrastanti che Sarah prova per quest’uomo e per il suo modo di essere ed ostentare, le impediscono di passare oltre. Deve dirglielo:
“È superbia, l’ipervalutazione della propria persona e delle proprie capacità, correlata ad un atteggiamento di superiorità verso gli altri… quelli che tu consideri inferiori”.
“Non credo di starmi ipervalutando… Guardami! Ho ricostruito questo impero due volte… Sono partito dal basso, ho conquistato tutto, l’ho perso… e l’ho riconquistato di nuovo. Sto davvero sopravvalutando le mie capacità?”.
“Sei così chiuso… Non sai davvero guardare oltre”.
“Cosa vuoi dire?”.
“Niente… mi domando soltanto cosa potrebbe fare una persona dotata come te” dice Sarah sfiorando la superficie della cassettiera nera con le dita “Se avesse uno scopo più alto”.
“Uno scopo più alto? Più alto di cosa?”.
“La superbia affonda le sue radici nel profondo dell’uomo, che è sempre teso alla ricerca e all’affermazione della sua identità. Tu hai bisogno di vincere il confronto con tuo padre…”.
“Fai la psicologa con me?”.
“È il mio lavoro”.
“Non mi risulta tu eserciti”.
“Non ho davvero bisogno di lavorare… Quindi faccio semplicemente quello che mi piace. Assecondo la mia passione artistica, è un problema?”.
“Non hai bisogno di lavorare ma sei brava… Guadagni più di gente che ha fame e bisogno… Tu non sei forse superiore a loro?”.
Jad si avvicina, le posa le mani sui fianchi e continua: “Ad un certo punto, il comunismo ha affermato che gli uomini sono tutti uguali”.
“Lo dice anche la religione cattolica”.
“E dimmi… tutte queste dottrine che spacciano per convinzioni benefiche il fatto che gli uomini… e le donne, ovviamente… siano tutti uguali e abbiano pari opportunità, indipendentemente dalla razza… dal credo… dall’estrazione sociale… Dalle effettive capacità… Cosa ha portato?”. Jad avvicina il suo volto a quello di Sarah.
“Cosa ha portato?” domanda lei, allontanandosi.
“Un’esasperata uguaglianza, riconosciuta per diritto di nascita… L’omogeneizzazione dell’umanità, un appiattimento verso il basso… La perdita del diritto di lottare per dimostrarsi migliori, per il riconoscimento della propria superiorità. Non siamo tutti uguali… O vuoi forse dirmi che chiunque potrebbe stringerti tra le braccia come sto facendo io adesso e baciarti?”.
“Credi veramente di potermi baciare? Pensi davvero di esserne all’altezza?”.
“È questo che lo rende affascinante… Non lo so. Ci devo provare, devo lottare per conquistarti. Se fossimo tutti uguali, la conquista non avrebbe senso… Sono le differenze, invece, a rendere il mondo interessante. E dove ci sono le differenze è normale che esistano perdenti e vincitori. Tu scegli da che parte vuoi stare…”, stringe a sé Sarah, “Io ho scelto la mia” e la bacia.
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