
10 Dic Maschere di carta – Ep.11
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Jarno Marchetti era stato uno dei più promettenti registi teatrali dell’ultimo decennio. Il potere e l’influenza della sua famiglia, avevano garantito, insieme al bellissimo aspetto del ragazzo, una capacità unica di inserirsi in ambienti in cui le sue doti innate avevano potuto esprimersi al meglio. Poco più che ventenne, Jarno aveva diretto l’opera “Edda Gabler”, in un importante teatro del centro a Milano ed era stato un successo. Il personaggio di Edda, in particolare era stato reso con incredibile maestria. Il difficilissimo ruolo era stato interpretato da un’attrice che era riuscita ad esaltare il personaggio ma tutti avevano asserito che la regia era stata la vera perla. A quanti avevano chiesto come Jarno fosse riuscito in quel miracolo, lui rispose che immedesimarsi in una donna bella e ricca, che non riusciva a trovare alcun senso nella vita, era stato facile.
In fondo lui non era diverso.
Certo, la differenza principale tra lei e lui era nel controllo; Jarno aveva il pieno controllo della propria vita e quando faceva il regista, sapeva di avere il pieno controllo anche di quelle degli attori che lavoravano con lui. La regia lo faceva sentire un dio. La noia per lui, come per Andy Wharol, era la base della creatività. Non esiste vita senza la noia, l’emozione più vera ed intensa.
“Le persone solitamente rifuggono la noia, io la bramo”.
Fino a quel giorno, era stato tutto fin troppo facile e infatti, quella che lui credeva essere una solida realtà, si dimostrò ben presto una timida illusione. Non riusciva a trovare un’opera “alla sua altezza” e così decise che l’avrebbe scritta lui.
Due anni dopo, la prima versione della sua “Gioia di vivere”, la black comedy a cui aveva dedicato la vita, era pronta. Le attese intorno all’opera furono incredibili. Tutti volevano collaborare con il nuovo astro nascente del teatro e l’attesa di due anni aveva reso quel sentimento ancora più diffuso. Nessuno avrebbe però potuto immaginare la crisi che Jarno stava attraversando quando, a ventitré anni, aveva scoperto di poter arrivare in cima al mondo e a venticinque, che quello per lui non era abbastanza. Aveva riversato quelle paure e quell’angoscia nella sua commedia, convinto che Lei li avrebbe assorbiti e fatti propri. Ma “Gioia di vivere” parlava dell’esatto opposto, e quel sentimento (quella mano che stringe la gola al mattino appena sveglio) accompagnava Jarno ogni volta che provava a scendere dal letto. Nessuna droga era riuscita ad aiutarlo e infine aveva perso anche Jolanda, la sua musa ispiratrice, la donna con cui condivideva tutto. Lei se ne era andata nel peggiore dei modi, per un’overdose a seguito di una di quelle feste che spesso organizzavano nella villa di lui.
L’aspetto fisico di Jarno aveva risentito di quel terribile periodo. Era stanco, aveva profonde occhiaie e dimostrava ben più dei suoi venticinque anni. Gli occhi verdi che erano sempre stati descritti come “due pietre preziose che esaltavano un gioiello”, erano ora invece due smeraldi incastonati in un pezzo di latta.
Così quando Jarno presentò il proprio lavoro, non trovò l’accoglienza sperata ma un totale distacco. E poi arrivò la stroncatura definitiva di quell’opera considerata dai più mediocre e inconsistente.
Jarno si rinchiuse in casa per giorni, tagliando ogni legame con il mondo che lo aveva respinto e riflettendo su quanto fosse allettante la prospettiva di tagliarsi anche le vene e raggiungere finalmente Jolanda. Ma per quello gli mancava il coraggio. Trascorse anni in un limbo di decadente apatia, poi, un giorno, camminando lungo i Navigli a Milano, ebbe un’intuizione. Vide una ragazza di spalle che stava bevendo da una bottiglietta e capì che sarebbe potuta diventare la protagonista di una nuova commedia. Un sincero entusiasmo che ormai riteneva perso per sempre, stava riaccendendo il faro della sua visione creativa.
Sarah stava bevendo l’ultimo sorso di acqua frizzante con cui aveva accompagnato l’insalata del pranzo, quando si sentì chiamare. Stava ad un tavolino all’aperto, di un bar sui Navigli, godendo del sole di inizio estate. Si voltò verso la strada, da dove proveniva quella bella voce.
“Ciao… scusa, posso disturbarti un secondo?”.
Sarah studiò il ragazzo, più o meno suo coetaneo, alto, barba lunga, capelli spettinati, profonde occhiaie e due occhi verdi meravigliosi. E i vestiti, indossati apparentemente a caso, erano di ottima fattura. Sorridendo e incuriosita, Sarah rispose: “Dimmi”.
“Sì…” disse l’uomo, guardandola attraverso un quadrato che aveva creato con le dita “Ti ho vista e ho pensato che sei perfetta. Io mi chiamo Jarno e sono un regista… teatrale. Sto realizzando una nuova opera… Voglio che tutto sia perfetto… e tu sei la mia protagonista perfetta”.
Sarah rise. “Oddio… sì, l’aspetto da regista ce l’hai… ma io non sono un’attrice… mi spiace”.
“È questo il punto! Io non voglio un’attrice, già costruita… che reciti un personaggio. Io sto cercando una musa… su cui costruire la mia opera”.
“Ma io non ho alcuna esperienza” mentì Sarah, che lavoricchiava anche come attrice e ogni tanto.
Jarno si avvicinò, posando una mano sulla sedia di fronte a quella di Sarah e agitando l’altra nel cielo, come se stesse spalancano un’invisibile sipario: “È proprio questo il punto” ripeté. Il ruolo che ho in mente per te è unico. Ti assicuro che non te ne pentirai, ti pagherò molto bene, sai?”.
“Molto bene?” Sarah rise “Se c’è una cosa che manca nel teatro indipendente, sono i soldi. Come puoi pagarmi molto bene… non sono nemmeno un’attrice”.
Jarno apparve risentito, il suo entusiasmo scomparso, il volto aveva assunto una tetra maschera di disperazione. Poi disse: “Posso sedermi? Lascia che ti spieghi… poi valuterai tu”.
Sarah, ridendo, disse: “Accomodati”. Non le interessava affatto la proposta ma lui, lui sì che sembrava interessante. Quel ragazzo aveva qualcosa che la incuriosiva, in quella sua profonda tristezza, quel senso di abbandono e di resa totale verso il mondo. Una resa in totale contrasto con l’entusiasmo appena mostrato.
Jarno ordinò da bere per entrambi e Sarah dovette riconoscere che aveva modi raffinati e affascinanti, mentre gli raccontava la propria storia personale e si apriva anche su ciò che non avrebbe voluto dirle: “Oggi mi trascino in questa vita vuota… e priva di senso… mi manca sentirmi come un dio, avere la sensazione di impugnare la vita delle altre persone e poterne decidere”.
“Vorresti tenere in pugno la mia vita?” Sarah sorrise maliziosa e finì il suo Bloody Mary.
Jarno sorrise a sua volta, dopodiché, scrollando le spalle disse: “Bé, questo è tutto. Allora, che cosa ne pensi?”.
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