
04 Apr Vite alternate – Ep.7
Hai già letto le puntate precedenti?
“Sei impazzita?”.
Dietro quel vicolo mi disse di fare silenzio, mi toccò, mi baciò, mi succhiò. Quando mi chiese di accompagnarla a prendere da bere per tutti, sussurrò: “Abbiamo solo cinque minuti”.
“Cosa vuoi fare?”. Facemmo l’amore tra gli scogli, così come lo facemmo il giorno dopo in mezzo al mare, sul pedalò. Accadde in uno di quei lunghi pomeriggi trascorsi insieme, quelli in cui Giorgio era a lavoro nella fabbrica di scatole di suo padre, oppure in palestra a boxare. Vivevamo nella libertà, nel profumo del mare e del sesso, tra le onde che portavano la sera. Ricordo la birra al Rose & Crown, quando già pensavo alle grida di mia madre nel momento in cui sarei rientrato. Ricordo la band che suonava: “Babe I’m gonna leave you” dei Led Zeppelin. E mi stavo ubriacando. Volevo baciare Elisa ma non potevo, perché la stava baciando lui. E lei, sotto al tavolo, mi sfiorava con un piede.
Babe, baby, baby, I’m gonna leave you.
“Vuoi fumare?” mi chiese Giorgio.
“Cosa?”.
I’ll leave you when the summertime.
“Tanto stai qui dentro, è già come se stai fumando, non credi?”.
“Dai, prova” disse Francesca, porgendomi la sigaretta da cui aveva appena aspirato. Si avvicinò, portandomi la sigaretta alla bocca, sfiorando la gamba con la sua, mentre il piede di Elisa che era baciata da Giorgio mi saliva lungo l’altra gamba.
Babe, babe, babe, babe, babe, babe, baby, baby…
I don’t want to leave you. E Secco cantava: “I ain’t jokin’ woman, I got to ramble.
Oh yeah” e poi era talmente ubriaco che ad un certo punto batté la testa sul tavolo, la reclinò indietro e sospirò. Lo stesso gesto che fece mia madre quando tornai a casa, prima di vomitarmi addosso i suoi insulti, additandomi perché puzzavo di fumo ed ero ubriaco e alla mia età era inconcepibile. Poi fui io a vomitare e stetti molto male. Si prese cura di me e mi disse che non riusciva più a riconoscermi e: “Se mi devi tratta’accussì, non capisco che sfaccimme ci simme venuti a fare qua”.
A ferragosto ci fu una festa in spiaggia. Eravamo quasi una ventina di ragazzi, mangiammo l’anguria e bevemmo fino a tardi, ascoltando Secco e altri due che suonavano la chitarra. Poi Francesca a un certo punto disse: “Andiamo a fare il bagno?”. E ci tuffammo nell’acqua tiepida della sera. Giorgio mi prese sulle sue spalle, mentre Secco faceva salire Francesca e ci sfidammo a spingerci in acqua. Giorgio aveva spalle larghe e possenti, mentre Secco era molto più magro e quindi li travolgemmo. Io rotolai su Francesca, i nostri corpi si avvinghiarono involontariamente. Mentre ci rialzavamo nell’acqua, lei mi tenne la mano e mi fissò, avvicinando il suo volto al mio, sotto il chiaro di una luna quasi piena. Osservai a lungo la luna la sera successiva, appoggiato al ponte della Maria Vittoria, vicino ad Elisa. Finalmente avevamo fatto quella crociera a cui cinque anni prima, sua madre avrebbe tanto desiderato partecipare. Solo che Giorgio cingeva la vita di Elisa con un braccio, mentre io stritolavo il corrimano. E quando lui la baciò, avrei voluto buttarmi di sotto. Per questo osservavo la luna piena, meravigliosa nel cielo.
E poi ad aspettarmi in albergo, sempre le urla di mia madre. Litigavamo la mattina perché mi svegliavo troppo tardi, a pranzo perché non volevo rientrare, il pomeriggio perché sparivo, e la sera perché non avevo orario.
“Che cazzo vuoi stronza!” dissi una volta.
Pianse tutta la notte ed io rimasi sveglio ad ascoltare il suo dolore, domandandomi perché non riuscivo a risponderle diversamente. La gelosia per Elisa mi stava divorando dall’interno. Una sera, con i ragazzi, avevamo noleggiato due risciò e mentre sfrecciavamo tra le strade del centro, rischiai di tamponare quello su cui stavano Giorgio ed Elisa, solo perché lui le aveva dato un bacio.
“Non posso continuare così”.
“Parlerò con Giorgio”.
Fu la prima volta che pronunciai quelle parole: “Io ti amo, Elisa”. Poi costruimmo i nostri sogni, in cui io diventavo un avvocato di successo e lei una pittrice ed eravamo benestanti. Avevamo due bambini. Il maschio lo chiamammo Marco, la femminuccia Cassandra. Lo stesso nome che poi ha dato a sua figlia.
“Quando gli dirai che vuoi rompere con lui?”.
“Devo trovare il momento giusto. È un ragazzo così dolce, non voglio spezzargli il cuore”.
“È vero è proprio un tipo in gamba” dicevo, ma poi la baciavo.
Una sera, Secco e Giorgio entrarono nella sala da biliardo.
Giorgio disse: “Io e Secco abbiamo un conto in sospeso. Giuse, le accompagni tu le ragazze a prendere un gelato e poi tornate qui tutti insieme?” poi avvicinandosi all’orecchio “Credo che Francesca abbia una cotta per te”.
Mentre camminavamo attraverso la folla di Via Amerigo Vespucci, Elisa mi strinse la mano. Poi mi sussurrò all’orecchio, indicando con gli occhi Francesca: “Lei sa”.
Improvvisamente tutta la gente intorno a me scomparve e fu come se mi ritrovassi solo. L’unico contatto con la realtà era il calore della mano di Elisa che stringeva la mia.
Lei sa.
“Non ti preoccupare, sciocchino” e mi diede un bacio sulla guancia.
Sorrisi.
Francesca disse: “Dai ragazzi, venite” e mi fece l’occhietto.
Sulla strada del ritorno, mentre mangiavamo il gelato, Francesca si infilò con il suo braccio sotto il mio. Poi sussurrò: “Così nascondiamo le apparenze”.
Il pomeriggio seguente, al bar della spiaggia, avrei dovuto incontrarmi con Elisa ma c’era solo Francesca. Indossava un bikini arancione e un paio di grandi occhiali da sole. I capelli biondi erano sciolti sulle spalle.
“Elisa dov’è?”.
“La sto aspettando. Ha detto che oggi sarebbe venuta più tardi. Ti va di farmi un po’ di compagnia”.
Mi sorrise e mi strinse il braccio, dicendo: “Grazie” e mi diede un bacio sulla guancia.
“Francesca, io…”.
“Rilassati”.
“Che cosa?”.
“Sembri teso, come chissà cosa stia per succedere” mi posò una mano sopra la gamba.
“Fra…”.
Strinse le dita, mentre avvicinava la sua bocca alla mia.
Io mi scostai di scatto.
“Andiamo”, disse “Voglio solo divertirmi un po’. Non lo saprà mai nessuno. Cos’è, forse non ti piaccio?”.
“Non è questo, ma io ed Elisa…”.
“Certo. Lei sta con Giorgio, e non vi fate problemi”.
“Non è così… È complicato”.
“Ma perché preferite tutti lei?”
Silenzio, poi Francesca rise.
“Dai, che stavo solo scherzando”.
Il pugno di Giorgio mi procurò un dolore che si propagò rapidamente su tutta la parte destra del viso. Era un pugno carico della rabbia repressa di un ragazzo che sognava un mondo diverso ma era costretto a lavorare nella fabbrica di scatole di un padre autoritario. Era l’odio di chi mi aveva accolto e si era fidato e si era visto prendere in giro e portare via la ragazza che amava. Era una mano stretta a pugno che due volte a settimana si allenava a colpire più forte nella palestra in cui faceva boxe.
Era il disgusto sul suo volto quando disse: “Mi avete spinto a colpire un ragazzino. Mi fate schifo, tutti e due”. Era la decisione con cui voltò le spalle e se ne andò, mentre io cercavo capire cosa fosse successo ed Elisa lo chiamava tra le lacrime: “Giorgio, ti prego Giorgio, non andartene, non andartene così”.
Babe, baby, baby, I’m gonna leave you.
Dolore e umiliazione, un senso di disfatta, la consapevolezza di essere io quello che stava dalla parte sbagliata e il terrore della fine.
Più tardi, eravamo sul molo.
“Elisa, sapevo che sarebbe successo prima o poi. Avresti dovuto parlargli”.
“Aspettavo il momento giusto”.
“Allora avremmo dovuto aspettare anche noi”.
“Sei forse pentito?”.
Mi toccai la mascella dolorante, non risposi.
“Ah, è così? Capisco”.
“Cosa?”.
“Niente”.
Ci sedemmo sul bordo, alcuni schizzi dell’acqua che si infrangeva sugli scogli ci bagnavano i piedi. Guardavamo l’orizzonte, dove il cielo e il mare si univano, così come pensavo fossero uniti i nostri cuori.
Dissi: “Che succederà adesso?”.
“Non lo so. Forse Giorgio mi odia e mi vorrà lasciare”.
“Bene… Cioè… mi dispiace, ma almeno potremo finalmente mettere le cose in chiaro”.
“Tu proprio non capisci, vero?”, urlò piangendo.
“Che cosa?”.
Babe, baby, baby, I’m gonna leave you.
Mi chiuse la bocca con un dito e disse: “Shh. Adesso abbracciami, ti prego”.
La abbracciai mentre il mio cuore pompava sofferenza e poi quel dolore si trasformava in lacrime. Elisa si tolse il ciondolo con la sua metà di cuore e disse: “Questo è meglio che lo tenga tu. Conservalo, in ricordo di ciò che di meraviglioso c’è stato tra di noi”.
Tornato in albergo, trovai mia madre che piangeva in camera, sul letto. Una confezione di kleenex vicino a sé.
“Mamma che succede”.
“Niente”. Mi sdraiai accanto a lei. Mi accarezzò il viso e non disse nulla. Ma anche io, in quel momento, buttai fuori tutte le lacrime che mi servivano e piangemmo a lungo, in silenzio, uno accanto all’altra.
Dopo, senza dire una sola parola sui rispettivi demoni, ci sorridemmo. Ci sentivamo meglio entrambi ed io dissi: “Ti ringrazio per avermi portato qui a Rimini mamma, ma ora sono pronto a tornare a casa. Che ne pensi se partiamo domani?”.
Il vento cancella, tra la sabbia i ricordi. Ciao, ciao… Ciao, ciao, mare.
“Penso sia una buona idea. Stasera però, è nostra. Posso offrirti una pizza?”.
Per sei anni non rividi più Elisa, finché una sera non la sognai e il giorno seguente ricevetti una sua telefonata da una cabina. Era appena arrivata a Milano, era sola, senza soldi e non sapeva dove andare. Ed era incinta.
Continua…
Giovanni Maglietta
34 comments
Or use one of these social networks