Maschere di carta – Ep.6

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Maschere di carta – episodio 1

Maschere di carta – episodio 2

Maschere di carta – episodio 3

Maschere di carta – episodio 4

Maschere di carta – episodio 5

A New York, Ryan aveva una compagna, fatto che nella sua mente avrebbe significato la consacrazione definitiva di un ex sfigato che poi era diventato popolare e aveva raggiunto il successo. Quella relazione gli mostrò invece l’ineluttabilità del suo animo, facendogli provare negli ultimi momenti, il più profondo senso di sconforto e sconfitta, facendo emergere con chiarezza il significato della parola fine. Oltre la fine non c’è più nulla, eppure dopo la fine, le cose continuano. Sempre. La donna con cui Ryan aveva vissuto la sua prima relazione importante, era più alta di lui. Non solo, era anche americana e rossa di capelli, tutte caratteristiche che Ryan detestava. Ed era un avvocato. Ryan detesta gli avvocati, anche se lui stesso è laureato in legge e iscritto all’albo. Ma lui odia il concetto di legge, della morale dell’uomo, dell’autorità. E lei era un avvocato penalista, la categoria che odia di più in assoluto. Come si può avere una morale ed essere un avvocato penalista? Come si può avere una morale. La morale è un costrutto semplificato al quale le persone si affidano per prendere una decisione che altrimenti non saprebbero valutare. Accettare una morale è come delegare se stessi, cedere in subaffitto il libero arbitrio. Ma l’avvocato penalista vive in modo amorale in un mondo morale, perché la sua morale è che tutti i comportamenti debbano essere giustificati.

Nell’intimo del più profondo di sé, Ryan sente un disperato bisogno di un avvocato penalista.

Lei si chiamava Corinna. Quel nome aveva subito affascinato Ryan, al punto da far passare in secondo piano tutto ciò che aveva sempre detestato di lei, incluso il colore rosso dei suoi capelli. Il loro primo argomento di conversazione fu la legge. La legge dell’uomo, giusta, sbagliata, la migliore possibile, la democrazia. Nessuno dei due aveva molta fede nella democrazia ma entrambi pensavano che fosse una delle migliori forme di governo possibili, per questo momento storico. In fondo la qualità della vita rispetto alle epoche precedenti e alle persone sotto altre forme di governo è migliore. Forse. In realtà più che pensarlo, lo speravano o almeno era ciò che convennero mentre brindavano. Ryan però non aveva mai lavorato come avvocato. Detestava quella parola. E poi aveva scoperto un settore in cui specializzarsi, in cui le sue competenze legali valevano molto di più: il biologico per le aziende. Era una moda, stava spiegando a Corinna, un trend da cavalcare. Quando Ryan era piccolo, era andato a cavallo. Una volta. Era stata un’esperienza umiliante, perché, schernito dai suoi amici, non aveva avuto il coraggio di divertirsi. “Stiamo cavalcando questo trend senza avere idea di cosa sia di dove ci stia portando, lo vediamo in modo veramente chiuso. Non siamo all’altezza del risveglio culturale, per questo il biologico è così controverso. E allora è inutile farsi illusioni, lavorare per il bene supremo. Io aiuto le aziende a fare soldi e loro mi ringraziano facendo fare molti soldi a me”.

“Poi sarei io quella senza una morale, vero?”.

“Non ho mai detto di avere una morale… Non ho mai nemmeno detto che avere una morale sia una cosa positiva… Ma credo che ci sia una differenza tra fare soldi consapevole della stupidità degli esseri umani e invece difendere i loro peggiori comportamenti”.

“Non credo che tra i nostri lavori ci sia poi tanta differenza”.

“Non lo credo nemmeno io… Ma non ho mai detto che il mio lavoro mi piaccia… Forse non ho mai trovato di meglio”.

“Non ti credo”.

Ryan e Corinna litigavano spesso quando si parlava di questioni di lavoro. Di solito arrivavano fino ad urlare e poi, quando sembrava non ci fosse alcuna via d’uscita, lui la sbatteva sul letto e facevano l’amore.

Era accaduto però che stando con lei, a poco a poco Ryan aveva perso tutta la sicurezza che aveva faticosamente acquisito. Accadeva perché lei stava diventando la sua forza, la sua nuova sicurezza e così lui si sentiva vulnerabile. Per questo aveva voluto allontanarla.

Dopo la rottura, Ryan si ripromise che non si sarebbe più fatto trascinare in una simile situazione. Un uomo come lui poteva, anzi doveva, vivere senza l’amore.

“Io sto bene da solo” pensa Ryan la mattina quando si rade davanti allo specchio. Adesso sono qui a Milano per ricominciare, niente amici, niente rapporti, niente situazioni, solo il presente. Se esiste solo il presente i sentimenti non possono farti male. Ciò che in un modo era cominciato, nello stesso modo e per motivi identici era concluso e ora, forse, una nuova vita lo attende, lontano dai fantasmi del passato e da quelle figure che con ciclico cinismo continuano ad affacciarsi nella sua quotidianità, per distruggerla e controllarlo attraverso il dolore.

Il dolore affascina Ryan.

Il ragazzo che gli sta offrendo il caffè, si chiamava Silvano. A Silvano è stato affidato il compito di introdurre Ryan al suo nuovo lavoro. Ryan ha capito al primo sguardo che tipo di persona sia. Lui è un attento osservatore ed in particolare sa riconoscere gli sfigati cronici, perché lo era stato. Ha già sentito un paio di colleghi chiamarlo: Swichack, come l’agente della serie di film scuola di polizia. Ryan deve però riconoscere che quel soprannome, un po’ datato nel 2015, ma attuale per persone che sono state adolescenti negli anni Novanta, calza a pennello sul suo nuovo collega; anche se lui, di primo impatto lo avrebbe invece associato ad un altro Silvano, quello della sitcom Camera Café.

“Silvano, conosci Camera Café?”. Decide che quello è l’argomento con cui rompere il ghiaccio con il suo timido ed impacciato collega.

Silvano ride e dice: “Che tosto. Siamo qui alla macchinetta del caffè e mi chiedi se conosco Camera Cafè? Ma lo sai che qui abbiamo anche Luca e Paolo?”.

Ryan ride: “Luca e Paolo? E chi sarebbero?”.

“Bernini e Parisotti. Sono forti uguali e somigliano un sacco a Luca e Paolo, non trovi? Cosa prendi?”.

Ti prendono anche in giro allo stesso modo…

“Parisotti? Quello che prima ti ha chiamato Swichack?” Ryan scuote il capo con disappunto “Io prendo un caffè con poco zucchero”.

Silvano ride e, mentre preme il pulsante della macchinetta, dice: “Bé, sì… Loro dicono che ci somiglio” incupendosi, poi dandosi un tono “Ah… io invece il caffè lo prendo con più zucchero, perché sai… secondo me non è buonissimo e così lo zucchero copre…”.

Bernini e Parisotti sono due deboli. I deboli diventano superbi e arroganti quando vogliono mostrarsi forti e così tendono a disprezzare gli altri e metterli in difficoltà. Solo abbassando persone come Silvano, loro possono elevarsi. Questo tipo di persone sono una piaga.

“Ryan che cos’hai, ti stai innervosendo?”.

“Niente, Silvano”, sorride, scuote il capo, prende il caffè che Silvano gli sta offrendo e lo gira. “Hai ragione… Questo è ben distante da ciò che io chiamerei caffè”.

“E come fai a dirlo? Ancora non lo hai assaggiato”.

“Sai cosa mi sono sempre domandato, Silvano?”.

Il viso da topo di Silvano si schiude in un sorriso e dice con entusiasmo: “Cosa?”.

“Com’è il caffè della macchinetta di Camera Café?” poi aggiunge “Sai… loro passano intere giornate davanti a quella macchinetta e aspirano a quel caffè come se fosse l’elisir di lunga vita di un alchimista… eppure non sappiamo nemmeno se è buono. Magari” allungando il suo bicchiere verso il collega “magari somiglia a questo. E a loro piace solo perché sono abituati, perché ormai sono anni che lo bevono così e non possono cambiare questa realtà. Capisci cosa intendo dire?”.

“Oh, bé, secondo me è buono sai?” ride “È una macchinetta della televisione, secondo me deve essere buono per forza”.

“L’odore… Silvano”.

“Cosa?”.

“Per capire se un caffè sia buono, non serve assaggiarlo… lo riconosci dall’odore. E questo… Non merita nemmeno di essere bevuto”. Ryan butta il bicchiere ancora pieno dentro al cestino dell’indifferenziato. Ride, di gusto, poi dice: “Beato te Silvano… che aggiungi un po’ di zucchero e riesci a dimenticare quanto il mondo sia amaro…” diventa improvvisamente cupo, prima di dire: “ti invidio, sai? Sei così naif” sospirando “a volte vorrei essere proprio come te”. 

Sono circa le tre del pomeriggio, nella sala riunioni principale, quando Silvano sta parlando da oltre venti minuti ad un gruppetto di cinque persone, tra cui c’è anche Ryan. Una riunione perfettamente inutile, perché nessuno segue i discorsi di Silvano e nessuno quindi farà nulla di ciò che sta chiedendo. Così, soffocando uno sbadiglio, Ryan estrae dalla tasca l’i-phone e digitata su Facebook: “Minerva…”.

Rimane colpito dal numero di ragazze con questo nome che il social network gli propone, dalle diverse parti del mondo e di ogni età. Studentesse, libere professioniste, impiegate. Lui non sa nemmeno che lavoro faccia Sarah. Sperando di riconoscerla dalla foto del profilo, scorre le varie candidate.

Quando riceve la richiesta di amicizia di Ryan, Sarah è a letto, avvolta tra lenzuola color antracite. È in una camera d’albergo, e sta guardando l’uomo con cui è appena stata che si sta rivestendo, indossando una giacca scura di Armani. L’uomo ruota il collo verso l’alto, come per stirarlo, guarda lo smartwatch che ha al polso e dice: “Devo proprio andare adesso. Tu però puoi stare qui anche tutta la notte, la stanza è pagata fino a domani mattina”.

Appena vede la notifica, Sarah scorre subito tra le nuove richieste di amicizia. Di solito non è così entusiasta ma sa che tra quei nomi insulsi potrebbe esserci quello di Ryan e infatti è così. Nella foto di profilo è girato di lato e guarda verso il cielo, indossa una camicia bianca. Ma com’è possibile che Scarafaggio sia diventato tanto figo? E involontariamente muove la mano sinistra verso l’inguine, poi si lascia cadere con la testa sul cuscino, mentre preme il pulsante di conferma.

Sarah scorre le foto che si è appena scattata ed è quasi tentata di mandargliene una. Sarebbe davvero curiosa di sapere la reazione di Ryan nel riceverla. Ma meglio aspettare, questo gioco deve essere praticato lentamente. Gli scrive un semplice messaggio: “Così mi hai trovato?”.

“È stato facile”.

“Allora dovremmo rendere tutto più difficile, non trovi?”.

“Cosa intendi dire?”.

Sarah preme il pulsante sull’I-phone per attivare la fotocamera, poi seleziona l’obiettivo frontale e si inquadra. Con la mano libera si sta sfiorando i seni, mentre con la lingua si accarezza le labbra. Si scatta la foto e poi, quando compare il messaggio sullo schermo per confermare l’invio a Ryan, preme “annulla” e si lascia andare ad una risata. Mentre questo avviene, si accorge dalle notifiche che Ryan sta interagendo con la sua bacheca. E quando vede che ha messo “mi piace” all’evento in maschera a cui è stata invitata questo venerdì sera, ha l’idea.

“Continua a cercarmi” scrive, mentre gli toglie l’amicizia, e lo blocca.

Maschere di carta – episodio 7

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