Niente di buono dopo il terzo cocktail – Ep.2

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Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 1

Ci sono momenti in cui succedono cose che appaiono meravigliose. Provi emozioni intense, ti senti come se tutti i problemi stessero finalmente svanendo, ed é come quando sboccia un fiore. Una meravigliosa rosa rossa, simbolo dell’amore, della rinascita, della passione. Ma è una rosa senza petali. È uno stelo reciso, fatto di sole spine che pungono e l’unico rosso è quello del tuo stesso sangue che cola, quando provi a toccarlo. La vita in certi momenti è proprio come uno stelo reciso che giace sull’asfalto, calpestato dai passanti, sporco, rovinato, spuntato, ormai incapace persino di ferire. E il sangue che ho versato quando ho provato a stringerlo, nella speranza che si trasformasse in fiore, si è rappreso in macchie scure sotto impronte di passi.

Nelle orecchie ho ancora le urla di Silvia, che si mischiano alle urla del direttore, le quali a loro volta, si mischiano ai miei pensieri.

Il direttore mi sta rimproverando per non essermi presentato alla riunione straordinaria di sabato. Silvia invece urlava perché pensava ci fossi andato alla riunione e che poi, fossi andato a bere con i colleghi.

“Ti sembra possibile stare fuori tutta la notte e non avvisarmi nemmeno?”.

Cazzo, ma io ho confessato a Mary di amarla e lei si preoccupa che sono stato fuori senza avvisarla?

“Mi si è scaricato il telefono”.

“E… allora? Ma io dico, Cristo santo ma… ma… non potevi chiedere il cellulare ad un collega?”.

“Ho bevuto troppo… Era una bella serata e mi è sfuggita la situazione di mano”.

“Ma certo… perché tu ti diverti e quindi di me ti dimentichi giusto? Ma sai che sei proprio uno stronzo?”.

Sì, sono uno stronzo ma non per i motivi che pensi. E mi sento così in colpa. Ma quella non scopava da sposata, cazzo.

Scoperà così anche con suo marito? Perché se fosse così, che motivo avrebbe avuto di venire a letto con me? No, quello che c’è stato tra di noi è semplicemente speciale.

“Mi stai ascoltando? E non mi guardare con quella faccia da ebete. Da chi sei andato ieri sera, eh? Da Diego? Mi stai dicendo la verità? Perché guarda che se menti io poi lo scopro… Lo sai che lo scopro, vero?”.

Non reggo più questa tensione, Silvia ti prego mettimi in croce, mandami pure affanculo se vuoi, ma smettila di torturarmi.

Le dico: “Tesoro, senti…”.

Mi punta un dito tremante contro, mi guarda dritto negli occhi, dice: “Non chiamarmi tesoro”.

“Silvia… io… senti, per favore…”.

“Mi passerà, va bene?” sospira forte, si stringe nelle spalle, ora il suo tono è più delicato, però è colmo di dolore “Questa è un’altra piccola crepa… e stai attento, perché non tutte le crepe si rimarginano. Un giorno… tutto questo potrebbe cadere a pezzi. Capisci cosa intendo dire?”.

Rimango in silenzio. Forse penserà che le sue parole mi stanno facendo riflettere, la verità è che non ho idea di cosa risponderle, perché mentre mi parla, io continuo a pensare a Mary. E penso a lei anche mentre è Donati a parlarmi. Donati è il direttore ed io sono in ufficio a dare spiegazioni sul perché non mi sono presentato a quella cazzo di riunione. È lunedì mattina e questo omone con la barba da capra e i capelli scompigliati mi sta urlando contro, sputando lapilli di saliva.

“Modigliani! Ma lei non ha un briciolo di rispetto per quest’azienda! Pensa che qui le cose vadano avanti da sole? Tanto vale che abbassiamo direttamente la clère e chiudiamo, se l’atteggiamento è questo. Il suo comportamento è stato inqualificabile, ma lo sa che figura abbiamo fatto con il cliente?”. Come se fosse colpa mia che Diego ha messo quella cazzo presentazione nella cartella di un altro cliente. E poi io adesso ho problemi più seri. Chissà se Mary mi sta pensando. Magari starà facendo l’amore con suo marito. E lui la sta scaraventando sul letto, togliendole tutti i vestiti e toccandola in quel modo in cui solo io dovrei toccarla, sfiorandole le spalle, le braccia, i fianchi, stringendo i suoi seni, baciandola, leccandola…

“Modigliani!”. Donati sta urlando tanto che sembra quasi che salti per darsi lo slancio e mi sta indicando, puntandomi contro il dito, ma il medio non l’indice, e guardandomi dritto negli occhi. “Cosa pensa di fare per risolvere questo casino?”.

Già, cosa posso fare per risolvere questo casino? Silvia è ancora arrabbiata con me e se dovesse scoprire la verità…

“Allora? Cosa pensa di fare, Modigliani!”, Donati continua a sbraitare.

“Io… bè…”.

“Senta, lasci stare, glielo dico io… Salga sull’aereo e vada a Londra, dal cliente… Con la Spadoni… Elaborerete una nuova proposta… E vedete di convincerlo stavolta”.

Con Valentina Spadoni? Ci mancava solo lei.

Valentina Spadoni è una collega account di ventinove anni. Il primo giorno di lavoro era apparsa a tutti noi maschietti come un sogno erotico irraggiungibile. Piccola, tutte curve, occhi nocciola, bocca carnosa, lentiggini.

Succedeva tre anni fa.

Ai tempi stava con un istruttore di equitazione. I cavalli sono la sua passione. Quando lui la lasciò per un’altra allieva però, cadde in depressione, ingrassò quasi venti chili e addio bomba sexy. Poi, qualcosa scattò in lei, tornò più sexy di prima e divenne una macchina da lavoro, cinica e pericolosa. La vita è così, ci sono molle che scattano all’improvviso e poi niente è più come prima.

Partiamo tra qualche ora.

Almeno sarò lontano da Mary.

E chi la sentirà Silvia? Ci penserò al mio ritorno. Dopo quanto è accaduto ieri, devo anche capire in che direzione stia andando la nostra storia. Non so nemmeno più se mi importa ancora stare con lei, se lo voglio davvero. Normale pensarlo, non credo di essere uno stronzo. In fondo, se non avessimo avuto problemi, io non avrei mai cercato Mary. Riflettendoci, sì, sono uno stronzo.

Così mi ritrovo con Valentina al bar dell’albergo, a sorseggiare un cocktail. Un Old fashioned. Bitter e angostura, con l’immancabile zolletta di zucchero.

Sono incantato dalle sue lentiggini. Bevo e penso che se fossimo rimasti soli al bar tre anni fa, ci avrei provato come un disperato. Avrei curato il suo linguaggio del corpo, il modo in cui avrebbe arricciato i capelli con il dito o se si inumidiva le labbra con la lingua ed ogni volta che sarebbe accaduto, il mio cuore avrebbe avuto un sussulto. Ci avrei provato e mi sarei sentito in colpa, perché era fidanzata. Ma ai tempi io ero single e non avrei potuto resistere.

I seni sotto la camicetta attirano il mio sguardo. Cerco di deviarlo, lei se ne accorge e sorride.

Giro il cocktail, e le dico: “È andata bene oggi con il cliente, non pensi?”.

“Mi domando se servisse davvero. Per fortuna almeno sono in buona compagnia” sorride.

“Alla buona compagnia” alzo il bicchiere nella sua direzione.

“Alla buona compagnia”.

Beviamo, segue un lungo silenzio, poi chiacchieriamo di argomenti leggeri e infine mi dice: “Sai, mi sembra incredibile. Due anni fa, quando quello stronzo mi ha lasciata… Eravamo insieme dalle superiori. Mi sembrava che nulla avesse più senso senza di lui. E poi…”.

“E poi, cosa?”.

“Non so… Non ho bevuto abbastanza per questo”.

Ordina un altro Moscow Mule, anche io prendo un altro cocktail.

Faccio una battuta, lei sorride poi torna seria. Dice: “Ci sono cose che non ricordi mai volentieri, eppure non puoi davvero dimenticarle”.

“Capisco…”.

“Davvero pensi di poter capire?”.

Stringe il cocktail con entrambe le mani e mentre lo fissa, sembra perdersi nel suo colore leggermente paglierino.

“Forse hai ragione, Vale, tranquilla… io non posso capire ma tu non sei costretta a spiegare, se non ti va… Ehi, in fondo siamo solo due colleghi che stanno bevendo una cosa insieme… godiamoci questo momento”.

Ma lei non stava ascoltando. Guardava di lato e mille ricordi le passavano davanti agli occhi. Era il suo film personale. Il proiettore dalla luce spenta che riproduceva immagini che io non potevo vedere ma che avevano totalmente spento il suo viso.

Cerco di concentrarmi sul mio cocktail e sull’ambientazione del bar e mi ritrovo a fissare la moquette. Perché in Inghilterra sono così fissati con la moquette? Sto immaginando gli anticorpi del nostro organismo, come quelli de: “Esplorando il corpo umano”, che ci difendono da un’orda di acari della moquette impazziti, quando Valentina riprende a parlare: “Hai mai pensato che la vita sia così difficile da sopportare, da non avere la forza di andare avanti?”.

“Penso capiti a tutti”.

“Ma ti sei mai sentito come se non avessi più alcuna via d’uscita, come se quel peso fosse così insormontabile da vedere un’unica drammatica soluzione?” i suoi occhi si erano inumiditi, la voce era diventata più bassa, percepivo il peso di ogni singola parola.

“Cosa intendi dire… Non avrai mica pensato…”.

“Molte volte”.

Silenzio.

“E sai cosa mi ha fatto definitivamente desistere?” ride “Una volta… è squillato il telefono t…” beve un lungo sorso “avvicinavo le lamette ai polsi. Ho atteso finché non finisse la telefonata, non volevo farlo mentre squillava, capisci? Ma subito dopo… squillò ancora. E ancora. Allora risposi… Era il call center della Vodafone. Ti rendi conto? La ragazza dall’altro capo del telefono si chiamava Felicita… Ed era di una dolcezza infinita. Mentre mi parlava scoppiai a piangere e mi chiese cosa avessi. Restammo al telefono quasi mezz’ora, le raccontai i miei problemi e lei mi disse che ero una persona meravigliosa… e che dovevo trovare dentro di me la forza di reagire e affrontare la vita, un giorno alla volta. Disse che il mio ex secondo lei era solo uno stronzo. Lo disse con un tono così spontaneo e sincero che scoppiai a ridere. Non ridevo da tempo e improvvisamente, la voglia di farla finita scomparve. Presi un profondo respiro e mi resi conto che ero viva grazie ad una ragazza di nome Felicita che mi aveva contattato per propormi più giga per navigare su internet ed era finita col darmi consigli esistenziali”.

“Quindi dobbiamo ringraziare Felicita se posso ancora godere della tua dolce compagnia?”. Abbozzo un sorriso.

Lei mi dice che non c’è problema se mi viene da ridere: “Anzi… è meglio sdrammatizzare. E poi è una cosa talmente paradossale… E per fortuna ormai è passato tanto tempo”.

“Il tempo cancella”. Forse. E forse, mi aiuterà anche a dimenticare Mary.

“È vero” dice lei “E quando passa abbastanza tempo… si può ridere anche parlando delle cose più tragiche. Sai… c’è un’altra cosa che forse non ti ho mai detto…”.

“Cosa?”.

Beve un lungo sorso. “Bè… uno dei motivi per cui sono riuscita a recuperare la voglia di lavorare… è che dividevo l’ufficio con te”.

Oddio io sono già in crisi di mio, per favore, non ti ci mettere anche tu a rendere tutto più difficile.

“Davvero?” dico “Mi fa piacere… Sono felice di esserti stato d’aiuto. Ma cosa avrei fatto esattamente? Nulla… credo…”.

“Questo non è vero… sei sempre gentile, ci fai ridere, sembra che tu non abbia mai un problema al mondo”.

Si arriccia i capelli con un dito, si inumidisce le labbra con la lingua e il mio cuore ha un sussulto.

Finisco il cocktail.

“Ti assicurò che non è così”.

“Lo so… Tutti abbiamo i nostri problemi. Ma io ti guardavo e pensavo a quanto tu fossi fortunato, capisci? Ti invidiavo, mi domandavo perché la tua vita fosse tanto migliore della mia. Poi un giorno ho capito che era solo una questione di atteggiamento”.

Ordino altri due cocktail, uno per me, uno per lei.

Valentina continua: “Anche tu avevi sicuramente i tuoi problemi eppure, ogni giorno, con il tuo sorriso, trasmettevi forza e buonumore a tutti”.

“Facevo questo? Davvero…”.

“Sì, Jonathan Modigliani, facevi proprio questo. E lo fai anche oggi. Allora ho capito che dovevo reagire… Ho capito che se voglio davvero una cosa” avvicina il suo cocktail al mio e lo sfiora in un brindisi “Me la devo prendere”.

C’è un sottofondo jazz e con le luci d’atmosfera accese all’imbrunire, tutto è caldo, avvolgente. Mi sento fremere, pendo dalle sue labbra, mi bevo ogni parola insieme al cocktail. Mi racconta della sua passione per i cavalli ed io immagino quanto debba essere fortunata la sella che cavalca. Mi piacerebbe sfiorare quella sella con le dita e mi piacerebbe fare l’amore con Valentina. Anzi, con lei non vorrei fare l’amore, con lei vorrei proprio scopare, penetrarla in modo egoistico e usarla per mio unico godimento. È solo basso istinto animalesco però sì, quanto vorrei scoparmela.

Ma di che tempra sono fatto? Solo poche ore fa, dicevo ad una sconosciuta di amarla.

Qui in Inghilterra, casa sembra un posto lontano e Mary sembra solo un sogno. Forse lo è. Forse anche Silvia è solo un sogno, in fondo come facciamo ad essere sicuri che questa sia la realtà? Ma forse sto semplicemente bevendo troppo. Non accade mai niente di buono dopo il terzo cocktail. E questo non è un sogno, ma la vita reale. E sono qui davanti a Valentina che è bellissima e che mi sta parlando di cose di cui non mi interessa nulla ma che per qualche motivo sembrano interessantissime. Mi racconta del nuoto ed io desidero essere l’acqua che accarezza il suo corpo. Bevo una lunga sorsata del mio Old fashioned mentre mi rendo conto che siamo seduti molto più vicini, che la mia gamba sta sfiorando la sua, che la sua mano tocca la mia e che provo un brivido nella zona inguinale. Mi sorride, reclina la testa, gioca ancora con i capelli. In che situazione mi sto cacciando, io lo sapevo che non dovevo venirci in Inghilterra con lei. E adesso cosa faccio? Non posso nemmeno alzarmi ed andarmene, altrimenti penserà di essere lei a non piacermi, crederà di avere lei un problema. E se andasse in depressione un’altra volta?

Oddio sono ipnotizzato dalle sue labbra, studio come scandisce ogni singola sillaba e ho l’impulso di baciarla. Non posso, non devo. Ma voglio.

Ci risiamo. Sabato notte, con Mary, ho combinato un disastro. E adesso rischio che tutto quanto si ripeta. Ma che razza di uomo sono? Valentina vuole baciarmi, mi desidera, è bellissima, sexy, ha questa voce suadente ed io non capisco più una sola parola di quello che dice.

“Sono un po’ stanca, credo che andrò in camera…”.

Abbiamo le stanze allo stesso piano, prendiamo insieme l’ascensore. Dice ridendo: “Oh, ho bevuto troppo”. Inciampa e mi cade addosso ed io sento il suo corpo sexy premere contro il mio, i suoi seni spingono, la sua gamba è appoggiata al mio inguine ed abilmente mi scosto perché non vorrei mai che capisse che sta andando in tiro. Ma glielo leggo in quel sorriso malizioso che ormai sa che sono in suo potere. Indietreggio e sono con la schiena contro la parete dell’ascensore. Lei si schiaccia contro di me, mi guarda negli occhi, il suo viso è vicinissimo al mio. Inspiro profondamente, cerco di prendere le distanze da questa situazione ma il suo corpo si muove, mi cerca, ed avviene quel contatto che volevo evitare ad ogni costo e che ovviamente non fa altro che accrescere la mia eccitazione. Mi sta fissando negli occhi e mi sta dichiarando con chiarezza quello che vuole, mentre le sue labbra si avvicinano alle mie. Poi riesco a liberarmi ed in un modo goffo ma volutamente distaccato la aiuto a rimettersi a posto. Si sistema il vestito, si passa una mano tra i capelli, sorride. Usciamo dall’ascensore e l’accompagno verso camera sua. Seguo i suoi passi lungo il corridoio, lei si avvicina alla porta, la apre con la tessera magnetica. Si gira, i nostri visi si sfiorano. Ci guardiamo negli occhi, la mia resistenza sta cedendo. Mi abbraccia.

Avvicina il suo viso al mio ed io desidero soltanto che mi baci. Voglio essere trasportato dalla passione, voglio stare con lei, più di ogni altra cosa.

Sussurra: “Ti va di entrare?”.

Mi bacia.

Due anni fa, dopo una cena a base di pesce in cui aveva assaggiato per la prima volta le ostriche, Silvia si faceva accompagnare a casa da me. Eravamo stati bene, lei mi aveva raccontato del suo lavoro di insegnante d’arte ed io l’avevo incantata con gli aneddoti sulle mie capacità di vendita.

“Ho fatto un corso di recente… PNL… non è solo una tendenza… se ci pensi è affascinante l’impatto delle parole sul pensiero, sul cervello, sul credo delle persone, sulla loro volontà… Usi una parola diversa e i pensieri cambiano forma”.

“È di questo che parlava il tuo corso?”.

“Non esattamente. PNL applicata alla vendita. Sai, per scegliere le parole giuste durante una trattativa, per…”.

“Manipolare il cliente”.

“Manipolare è una brutta parola… O meglio… La parola in sé non è brutta… se ci pensi, significa plasmare… è nell’utilizzo comune che ha acquisito un’accezione negativa”.

“Non starai mica testando l’efficacia  del tuo corso con me, vero?”.

Avevamo riso a lungo, e quando ci guardammo negli occhi, ebbi una rivelazione e la definitiva conferma di quanto lei mi piacesse.

L’accompagnai sfrecciando nel traffico, perché mi aveva detto che adorava la velocità. Entrambi avevamo bevuto troppo. Quando parcheggiai sotto casa sua, mi guardò negli occhi e disse: “Ti va di entrare?”. E mi baciò.

Fu il meraviglioso inizio della nostra storia, possibile che questa debba esserne la sua meravigliosa fine?

Le labbra di Valentina sono morbide, delicate, il mio cuore accelera, chiudo gli occhi e mi godo il momento. Poi si stacca e mi fissa, aspettando una reazione. È il momento che fa tutta la differenza, quello della verità. Il momento in cui devo prendere una decisione. Ma sono l’attesa e il silenzio a decidere per me.

“Capisco” dice, reclinando la testa di lato. Mi bacia di nuovo.

“La tua compagna è una ragazza fortunata”.

Se ne va, chiudendosi la porta alle spalle ed io la guardo sparire, domandandomi se sono stato un coglione oppure se ho fatto la cosa giusta.

Solo, in camera, sfogo nella mia solitudine l’eccitazione repressa. Poi prendo una bottiglietta di whisky dal minibar e bevo grandi sorsi, mentre fumo una sigaretta, appoggiato alla finestra . Sembra così intenso fumare fuori da queste finestre. L’aria è più pungente qui, è come se il vento soffiasse in un modo diverso. Sarà l’influenza dell’Oceano Atlantico? Ah, l’oceano, il mare.

Mary.

Chissà cosa starà facendo Mary, in questo momento.

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 3

Giovanni Maglietta

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