
19 Mar Niente di buono dopo il terzo cocktail – Ep.3
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Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 1
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 2
A casa c’è Silvia e lei è furiosa con me, anche se non sa ancora tutta la verità. E il senso di colpa è come una pesante scure calata sulla mia testa, mentre sono ancora a terra. Vedo i riflessi del sole al tramonto brillare sopra la lama mentre una mano possente e implacabile la abbassa. Io sono in ginocchio e chiedo perdono, supplico, vorrei cancellare quello che ho fatto ma non si può tornare indietro. Un colpo netto recide pelle, carne, nervi, ossa ed è la fine. Ma quando riapro gli occhi sono ancora qui. Solo che il tramonto è diventato crepuscolo, sera, notte, mentre sono seduto a un tavolino di un bar, un luogo dove nessuno mi conosce, dove sono assolutamente estraneo, ma dove per qualche motivo mi sento a casa.
Sono solo e bevo una birra.
È la seconda.
Mi manca Mary.
Lei ha il mio numero, io però non ho il suo. Ma lei ha il mio numero, quindi se vuole può chiamarmi. Possibile che non stia più pensando a me? Noi abbiamo fatto l’amore! Non era una scopata, non era squallido sesso con una sconosciuta in un albergo. Era un intenso fondersi di corpi, un groviglio di passione e sentimenti. Ma forse è stato così solo per me.
Mary ha lasciato un vuoto, simile a quello presente in questo pacchetto di patatine quando mi sono accorto che sono finite. É lo stesso vuoto che adesso sento tra me e Silvia. Ma come per questo pacchetto di patatine, finché non ho realizzato che fossero finite, anche il rapporto con Silvia mi sembrava perfetto mentre invece si stava consumando, fino al momento in cui ho visto quanto poco é rimasto di noi.
Non dovrei essere qui, è sbagliato, pericoloso, ma la mente ragiona al contrario a volte. Quando una soluzione ci spaventa, inventiamo insensate scorciatoie, alternative e reiteriamo errori, pur di non fare quell’unica cosa giusta di cui abbiamo troppo timore. Sono le nove. Le nove, Cristo Santo, Silvia non mi ha ancora nemmeno scritto. Non ho idea di cosa mi aspetti a casa ma a questo punto è meglio tornare. Ad un certo punto è sempre meglio tornare.
Forse, io e Mary ci siamo semplicemente incontrati nel momento sbagliato e quindi per questo è tutto finito, distrutto. Ma non scegliamo noi quando una cosa debba accadere. Io non ho chiesto al fato di incontrarla e una volta successo, è qualcosa che non ho più potuto ignorare. E questo mi spinge a pormi domande sulla mia vita con Silvia, sul destino.
Invece di andare a casa, ordino la terza birra. Non accade mai niente di buono dopo la terza birra. Sono appena tornato da Londra, sono sfinito e dovrò affrontare Silvia. Mi urlerà contro, mi torturerà, sfogherà tutta la sua rabbia, probabilmente dovrò dormire sul divano. Non so quanto una birra possa peggiorare davvero la situazione.
Forse dovrei dirglielo, non posso proprio far finta che non sia accaduto nulla. Ho assaggiato un frutto proibito, immaginato il sogno di una realtà alternativa che in quanto irreale è perfetta, in cui io e Mary siamo la coppia perfetta e tutto intorno a noi, pure, è perfetto.
Invece poi sono ritornato alla mia vecchia vita con Silvia che non è affatto perfetta ma è reale. E forse è giusto così. Proprio in questo momento, sto infilando la chiave nella toppa, ruotando la maniglia. Ho bevuto un po’ troppo quindi quest’operazione sembra leggermente più difficile di quanto dovrebbe essere.
Ho preso una torta alle meringhe passando al supermercato, magari riesco ad addolcirla.
Ruoto con calma la maniglia e provo ad aprire la porta che però è bloccata. La nostra porta blindata ha una manopola che se girata, aziona una chiusura che non può essere aperta con le chiavi. La porta così si apre solo di qualche centimetro. Ha voluto sbattermi fuori.
“Silvia… tesoro… apri per favore” dico con tono quasi di supplica. Biascico e mi vergogno. Questo non farà altro che peggiorare la mia situazione ai suoi occhi.
“Quindi sei tornato… cos’è sei arrivato oggi pomeriggio? Sai, io non ne ho idea, visto che il tuo primo pensiero non è stato mandarmi un messaggio. Cioè ma non hai pensato di dirmi… Stronza, sono appena tornato da Londra, ho fatto un cazzo di viaggio in aereo e sto bene, sai? Ma tanto, cosa vuoi che mi importi di sapere che stai bene? E poi, perché rientrare subito a casa dopo il lavoro, giusto? Coglione!” adesso sta urlando “Ma sono io la stronza! Perché solo una stronza si fa trattare in questo modo”.
“Silvia, per favore, apri…”.
“Per quel che mi riguarda, puoi marcire sul pianerottolo” e mi sbatte la porta in faccia.
È uno di quei momenti in cui non so cosa fare, in cui non capisco davvero cosa stia succedendo. Sto fissando il muro, immobile, mentre provo a pensare ma nessun buon pensiero si affaccia alla mia mente. Mi lascio cadere seduto, con accanto il sacchetto della spesa contenente la torta alle meringhe.
Sono tentato di assaggiarla.
Aspetto che i pensieri mi si formino in testa, mentre cerco di razionalizzare la situazione.
Solo un’altra volta ho visto Silvia così ferita, arrabbiata, determinata, pronta a colpire, a farmi male: quando aveva scoperto il mio primo tradimento.
Stavamo insieme da qualche mese e avevamo organizzato una cena con un gruppo di amici che non vedevo da tempo. Mattia, Massimo e Alfonso, amici delle superiori che avevano finito per studiare tutti e tre ingegneria informatica e adesso lavoravano per non so quale multinazionale. Alfonso, da poco fidanzato, aveva portato la sua compagna. Silvia invece non era voluta venire. È così che si creano le occasioni. Se Silvia fosse venuta, non avremmo avuto problemi. Invece no, lei aveva preferito rimanere a casa, perché lei preferisce sempre rimanere a casa! Ed è colpa mia, se Klizia, la ragazza di Alfonso era bionda, alta, sensuale e soprattutto ninfomane? E porca. Sì, porca, perché non potrei definire altrimenti una che quando mi alzo per andare in bagno mi segue, entra dopo di me nel bagno degli uomini e mi dice che è tutta la sera che mi sta puntando (ma tu non sei la compagna del mio amico?), mi spinge nella toilette, mi sbatte contro la parete e mi slaccia la patta dei pantaloni per afferrarmi. Poi si china su di me, baciandomi e leccandomi, mentre la sua mano si muove in una danza. Alza lo sguardo, fissandomi negli occhi e me lo prende in bocca. Io deglutisco, colpendo forte con una mano la parete a cui sono appoggiato. La sua testa ora si muove su e giù, mentre con una mano si tocca sotto la gonna tra le cosce aperte. Succhia, bacia, lecca e alla fine mi fa venire diritto nella sua bocca. Poi si lecca le labbra soddisfatta, ingoia, mi da uno schiaffetto sul pene ancora duro e si risistema la gonna e la maglietta che si erano spostate mentre si toccava. Si alza in piedi e mi bacia con la lingua.
Quando ritornai al tavolo ero talmente a disagio, che non riuscivo nemmeno a parlare. E lei, ogni volta che Alfonso non vedeva, mi fissava, passandosi la lingua sulle labbra, facendo altri gesti osceni e tirando fuori persino una tetta a un certo punto.
Mi sentii un verme, ma almeno avevo capito che quella troietta non era adatta ad Alfonso. Glielo dissi, gli raccontai come erano andate le cose. E mi beccai un pugno in faccia per la mia onestà.
Quella ninfomane di Klizia, nei giorni seguenti continuava a scrivermi oscenità via messaggi. Cose pazzesche, che mi facevano eccitare nei momenti più sconvenienti. Mi scriveva di quanto fosse bagnata la sua fica e di come si masturbasse praticamente con qualsiasi cosa, pensando a me. Dai suoi messaggi sembrava si masturbasse in continuazione. E poi mi mandava le foto. Una volta me ne aveva mandata una di lei, inquadrata dalle ginocchia al ventre, nuda, con un peluche che soffocava tra le sue cosce e il commento: “Dove sei? Mi sto consolando con lui ma è il tuo caxxo quello che voglio”. E insisteva per rivedermi. Ma insisteva tanto, era quasi ossessiva. Può essere considerato stalking anche se ad ossessionarti è una ragazza bellissima che vuole solo scoparti l’anima? Parole sue.
Pensai che se ci fossimo visti, dopo le cose sarebbero andate meglio, che una volta soddisfatta, la sua voglia si sarebbe placata.
La nostra relazione era solo sesso, quasi non parlavamo nemmeno. Ma i suoi pompini sono i migliori che mi siano mai stati fatti e faceva quella cosa con le mani che solo a pensarci…
Era un periodo in cui temevo che Silvia potesse scoprirmi. Con Klizia stavo prendendo sempre più rischi e non riuscivo più a tenere la cosa sotto controllo. Forse perché in fondo volevo farmi scoprire, perché non vedevo altra via d’uscita.
“Non ti piaccio più?” mi chiese una volta Silvia, mentre mi stavo preparando per uscire.
“Ma stai scherzando, tesoro?” la baciai sulla fronte e me ne andai. Indossava un abito nero a tubino ed aveva tagliato i capelli. Il suo ultimo disperato tentativo di richiamare la mia attenzione, di vincere la guerra.
“Possibile che tu preferisca sempre i tuoi amici a me?’”. Avrei dovuto sospettarlo che in quel tono c’era qualcosa di anomalo. Una donna capisce certe cose ma non le dice apertamente, manda dei segnali. Perché smascherare un tradimento significa anche accettare il fatto che puoi non piacere più al tuo uomo, far emergere i problemi di coppia che vanno affrontati. Ed un uomo intelligente dovrebbe cogliere i messaggi che la sua donna gli manda, per evitarle la vergogna e l’umiliazione.
Quella sera ero tornato a casa così ubriaco da non essermi accorto di avere la camicia sporca di rossetto. Mi disse: “Pensavi che stessi già dormendo, vero?”.
“Ah, ciao tesoro… cosa ci fai ancora in piedi?”.
“Non posso nemmeno guardare un film… o ascoltare della musica… sai, per fare qualcosa nelle sere in cui mi lasci a casa da sola come una stronza”.
“Io, veramente… pensavo che rimanere a casa ti facesse piacere… Se tu volessi… lo sai che preferirei uscire con te…”.
“Se io volessi?”.
“Andiamo Silvia, lo sai benissimo anche tu, che ogni volta che ti chiedo di uscire alla fine litighiamo… e che non sei contenta, se non passiamo tutte le serate sul divano a guardare le repliche di Will & Grace…”.
Mi interrompe: “Ancora con questa storia? Si chiama essere una coppia… Si chiama compromesso, equilibrio… Avere un focolare, costruirci il nostro nido”.
“Ma…”.
“E poi fammi capire… Dovremmo quindi uscire, io e te… Per fare cosa? A me sembra decisamente che tu preferisca uscire da solo…”.
“Perché dici così…”.
“Chi è Klizia?”.
“Kl… Klizia?”.
“Sì, chi è Klizia?”.
“Ma di cosa stai parlando… Che ne so io, di chi sia questa Klizia, questo nome che ti sei inventata… Ma perché?”.
“Maestro della PNL, tu non sei mai stato bravo a mentire con me, lo sai, vero? Fai quella cosa con gli occhi… e la tua voce cambia tono…”.
“Senti, te lo ripeto, io non conosco nessuna…”.
“E allora quella macchia sul colletto?”.
Urlava e le sue parole erano lame che ferivano e mi torturavano e mi facevano a pezzetti. Diventavo un minuscolo ammasso di pezzetti, una poltiglia di dignità trita e pronta al macero. Amavo Silvia e non avevo nemmeno capito come fosse stato possibile trovarmi in quella situazione con Klizia. In quel processo non avevo armi, non avevo difesa, solo vergogna, debolezza. Ma poi, come sempre accade in questi casi, il tempo guarisce ogni cosa. La prima settimana dormii sul divano e Silvia mi parlava appena. La settimana seguente però, rise ad una mia battuta e il gelo iniziò a sciogliersi. Da quella crepa si aprì un varco da cui filtrava la luce del sole, un varco in cui infilai le mie scuse, la mia dolcezza, e tutto ciò che poteva portare all’estate del suo perdono.
In un pomeriggio di pioggia mi disse: “È stata una debolezza. Ti odio per questo. Non potrà più tornare come prima, per quanto lo volessimo. Ma sto bene con te e” mi posò una mano sul petto, sentendo il mio cuore battere “riesco a sentire il tuo amore. Johnny, lo so che mi vuoi bene. Ma questo… non sono in grado di sopportarlo di nuovo. Te lo chiedo per favore”.
“Hai ragione, non lo meriti”.
Mi guardò negli occhi e disse: “Sei in grado di promettermelo? Che non mi farai mai più soffrire in questo modo?”.
Non risposi e allora lei aggiunse: “Da questo dipende tutto. Se non sei in grado di farmi questa promessa, posso capirlo. Ma io voglio al mio fianco un uomo che non mi faccia soffrire così. Ormai ti ho perdonato, anche se fa ancora male. Però, se vogliamo costruire qualcosa insieme, devo potermi fidare di te”.
Guardavo i suoi occhi, il suo viso, la scollatura della canottiera e teneramente ripensavo al suo corpo, che tante volte avevo visto nudo e che in quel momento mi sembrava irraggiungibile. Ci fissammo a lungo negli occhi, poi i nostri visi si avvicinarono, sfiorandosi, mentre capivo che desideravamo la stessa cosa. Le sfiorai le labbra teneramente con le mie e poi lo feci di nuovo, con maggior convinzione. Stavo per parlare ma lei mi chiuse la bocca con un dito e poi mi baciò, questa volta con passione, lasciando scivolare la sua lingua verso la mia, mentre io l’accarezzavo, le guance, la nuca, le spalle, le braccia e poi le sfilavo la canottiera e scendevo con il mio viso sui suoi seni. Giocavo con il suo reggiseno, spostandolo con i denti e facendomi strada fino ai capezzoli, divertendomi anche con quelli, mentre lei reclinava la testa indietro e sospirava. Poi la spinsi sul divano e facemmo l’amore. Più tardi la stringevo tra le mie braccia, le dita delle nostre mani si intrecciavano. Respiravamo piano, all’unisono ed io le accarezzavo i capelli, mentre speravo che quel momento potesse durare per sempre. In effetti restammo a lungo in quella posizione, nudi, in silenzio, sospesi in un sogno. Fu lei a riportarmi alla realtà, quando all’improvviso disse: “Ogni volta che accade qualcosa di brutto, si forma una crepa che non può essere rimarginata. E per quanto il nostro amore sia solido, a furia di crepe potrebbe crollare. Capisci cosa intendo dire? Promettimi che posso fidarmi di te”.
Glielo promisi. E da allora le ero sempre stato fedele. Ma poi, nell’ultimo periodo, qualcosa è cambiato. Qualcosa cambia sempre, purtroppo. Prima c’era stato il bacio con quella biondina alla festa. Poi la situazione con la ragazza che avevo conosciuto al vernissage. Ma ero riuscito ad evitare che le cose degenerassero. Quando però è destino che qualcosa debba accadere, succede e basta, perché forse è scritto, forse sono i nostri comportamenti, i nostri pensieri. Credo che in buona parte la nostra vita sia comandata da tutti i desideri inconsci che non abbiamo il coraggio di ammettere e che guidano le nostre azioni, affinché accada ciò che desideriamo davvero, anche se non ci piace, anche se non lo cerchiamo. E così, ecco spuntare Mary che mi ha sconvolto, ha stravolto tutti i miei schemi e ha reso schiavi i miei sensi. Non ho quasi mai provato un amore così intenso, anche se è stato il sentimento di una notte. Sarebbe stato bello se fosse stato solo un sogno, ma invece è successo.
Davvero.
Anche se adesso è solo il ricordo lontano di una donna che forse non rivedrò più, e non è certo un valido motivo per cui rovinare la mia storia con Silvia. Ma forse vorrei che invece Mary fosse quel motivo, perché non so più cosa voglio. E sicuramente è meglio rovinare tutto per un tradimento che per aver fatto preoccupare Silvia con un comportamento irresponsabile. O forse volevo farla preoccupare, non avendo il coraggio di portare la nostra storia alla rottura. Forse è un altro di quei meccanismi scattati per colpa di un desiderio inconscio.
Ad ogni modo, non posso stare qui tutta la notte sul pianerottolo. Forse dovrei andare in albergo. Ma vaffanculo, questa è casa mia, ho diritto di entrare. Mi alzo e batto forte con il pugno contro la porta.
Grido: “Silvia! Apri! Apri la porta e affrontiamo la questione come due adulti!”.
Aspetto qualche attimo poi dico: “Lo so che sei lì dietro, ti sento”.
Apre appena la porta, bloccata con la sicura e dice: “Tu qui, stasera non entri” e chiude di nuovo, con forza.
Sono furioso, batto forte il pugno contro il battente e grido: “Apri stronza! Apri!”.
Silenzio.
Dopo qualche istante apre, e quando io entro, lei esce.
“L’hai capito che non riesco a stare nella stessa stanza con te!”.
Mi spinge dentro casa e chiude a chiave. La sento piangere. Riapro subito la porta ma lei ha già preso l’ascensore. Scendo le scale di corsa, la vedo uscire dal portone del palazzo, la rincorro.
La fermo, lei si divincola, poi dice: “Lasciami o mi metto ad urlare”.
“Dove vai?”.
“Non ti riguarda. Lasciami! Ho detto lasciami!”.
“Silvia, io…”.
Sale in macchina. Batto forte contro il finestrino, mi butto sul cofano motore ma inciampo e cado a terra.
Non è come nei film.
Rotolo sull’asfalto, mentre lei accelera e si allontana.
Mi accendo una sigaretta, mentre guardo l’auto sparire dietro la curva. Sono sdraiato sulla strada, supino, vedo il cielo. Le stelle sono coperte dalle nubi, non è una bella visuale. Anche il mio futuro è coperto da nubi. Mi siedo, rimango immobile per qualche istante, poi penso che sia meglio spostarmi dal centro della strada e mi do lo slancio con una mano per alzarmi. Mi avvicino al marciapiede, faccio un lungo tiro di sigaretta.
Sferro un calcio al palo della luce e mi faccio male a un piede.
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 4
Giovanni Maglietta
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