
02 Apr Niente di buono dopo il terzo cocktail – Ep.4
Hai già letto le puntate precedenti?
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 1
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 2
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 3
Il professor Calderona ci faceva guardare il righello che aveva le tacche dei millimetri. “È piccolo un millimetro” diceva “ma può essere suddiviso in decimillimetri, centimillimetri, micron. Avete una vaga idea di quanto sia piccolo un micron? Eppure anche quel micron può essere spezzettato e questo processo, può andare avanti all’infinito. Per quanto abbiate uno strumento sofisticato, la misura non sarà mai esatta e produrrà sempre un errore”.
Effettuare una misura significa approssimare la realtà, in una forma errata ma a noi comprensibile, perché l’errore è il fondamento del mondo e della vita stessa. È il concetto di errore ad essere sbagliato, forse.
Ma che differenza esiste tra uno sbaglio e un errore? Così, cercando le definizioni su internet, mi sono perso nelle sofisticate elucubrazioni della filosofia greca, commettendo un altro sbaglio. Alla fine non ci ho capito niente. Mi sembra però che l’errore sia più concettuale, mentre lo sbaglio sia legato al procedimento.
Con Melissa ho sicuramente commesso sia un errore che uno sbaglio. Così come ho commesso un errore a venire a questa festa e poi uno sbaglio nel bere così tanto.
Siamo a casa di un amico di Diego, un musicista, uno di quelli che abitano in zona No-Lo, in una casa su due piani, quasi completamente open space, dall’arredamento radical chic. Ha dato una festa per il suo compleanno, ha invitato amici su amici e ha raccomandato a tutti di portare altri amici. Io non ho nemmeno cenato, perché non mi andava nulla. Da quando Silvia se n’è andata, mangio pochissimo. In compenso ho già svuotato il primo bicchiere di rum e cola in parti uguali.
“Hai bisogno di distrarti” aveva detto Diego. Non lasciarmi solo, mi serve una spalla, intendeva in realtà.
Silvia se n’era andata.
Era uscita sbattendo la porta, io l’avevo rincorsa in strada ma non ero riuscito a trattenerla. Avevo provato a chiamarla tutta la sera e non aveva risposto.
Poi, un messaggio: “Ho bisogno di tempo. Mi faccio viva io. Per favore, non cercarmi”.
La mattina seguente ho provato a chiamarla, ma non ha risposto. Sempre occupato ma dubito che avesse il cellulare spento, quindi doveva avermi bloccato. Questo fa male. Lei non sapeva che l’avevo tradita, ma probabilmente lo avvertiva. Le donne hanno un cazzo di sesto senso su queste cose. Finire a letto con Mary era stato l’ennesimo sbaglio, proprio come questa sera è accaduto con Melissa.
Ho conosciuto Mellissa mentre mi versavo il terzo rum e cola, ormai in parti disuguali. E dopo il terzo rum e cola, non accade mai niente di buono.
“C’è del vino?” chiede.
Dice di chiamarsi Melissa e la prima cosa che penso è allo spreco di un nome così bello, per una ragazza del genere. È completamente piatta, con un brutto paio di occhiali, un sorriso imbarazzato e una voce monotona. Non so quale lavoro faccia ma credo debba essere ancora più noioso di lei. È amica di Nadia, la tipa di Jack. Ma chi cazzo è Jack? Ah, il padrone di casa.
Ma perchè non sta un po’ zitta? Le verso del vino e brindiamo. A che cazzo brindiamo, non lo so. Con i bicchieri di plastica, poi. Non si brinda con i bicchieri di plastica, surrogati usa e getta dei bicchieri di vetro, troppo costosi e delicati un’occasione come questa. D’altra parte, questo è un surrogato di serata, in cui mi sto perdendo volutamente e da cui vorrei al contempo fuggire. I nostri bicchieri si toccano senza produrre alcun tintinnio speravo che almeno si toccassero le dita, nel tentativo di rendere questo rituale meno squallido e vuoto.
C’è gente strana a questa festa, pseudointellettuali che per qualche ora bevono e conversano dimenticando le proprie insulse vite. Non so quante volte ho sentito dire “progetto” o “Vieni a trovarmi al mio co-working” o “Ah, sai la mia start-up”. Ma hanno almeno la minima idea di cosa significhi la parola “start-up?”. Si spacciano per artisti e creativi, capaci di vivere davvero, a differenza di noi comuni mortali, ma non credo siano poi tanto migliori di me. Guardali là, con i loro sorrisi, e loro canne che sembrano trofei , vestiti uno peggio dell’altro, tutti apparentemente diversi, tutti fondamentalmente uguali. Questi ancora non hanno capito che guadagno più di tutti loro. Anzi, che il mio cazzo di lavoro mi dà più soddisfazioni di tutti i loro inconsistenti progetti e che tolto l’ultimo litigio con Silvia, anche la mia vita sentimentale, è migliore del piattume che mi stanno raccontando. Ma sembra che si divertano a compiacersi, incolpando di tutto il sistema, per il fatto di vivere in un mondo sbagliato. Forse sono loro ad essere sbagliati per il mondo ma in fin dei conti anche questa è una condanna.
“Ho scelto forse io di venire al mondo?” mi sta dicendo questo tipo sui quaranta, con il maglioncino a collo alto anche se siamo a maggio, e la barba brizzolata.
“Hai ragione, amico”, alzo il mio calice che in realtà è un bicchiere di plastica alla sua. Ma credo che il livello di questo brindisi sia appropriato al personaggio. Il rum non è un granché ma è meglio delle sue divagazioni filosofiche. E comunque, dice di essere un pittore ma che lavora come commesso. Quindi è un commesso con un hobby.
Melissa è ancora tra i piedi. Non c’è modo di allontanarla e più parla, più diventa insignificante. I suoi discorsi mi annoiano ed è vestita malissimo. Ha creato un abbinamento camicetta, pantaloni e scarpe recuperati in non so quale bancarella, che ammazzerebbe la femminilità di una top model da urlo, figurarsi di lei che sembra un brutto modello di topo. Sembra ci stia provando con me. È un topolino che ha puntato il formaggio. Non si schioda, sorride, continua a parlarmi a farmi domande. Adesso siamo sul balcone, fumando una sigaretta con Jack e Nadia. Scolo il mio pseudo cuba e torno a riempirmi il bicchiere. Mi segue. Abbondo con l’alcool, così magari riesco a non considerarla. E in effetti, la testa si alleggerisce, i sensi si confondono. E la voce di Melissa è meno fastidiosa. Bevo un altro sorso, magari diventa persino piacevole. Eccolo il momento dello sbaglio. È questo il momento in cui mi sto rendendo conto che dovrei posare il cocktail, inventare una scusa e correre a casa. Sono venuto con Diego, quindi prenderò un taxi, ma poco importa. Lo avevo già messo in conto. Direi che la mia vita è già abbastanza incasinata, senza che io butti giù questa dose eccessiva di rum, la dose del non ritorno.
Spero che Silvia ritorni presto da me. E Mary? Chissà come sta, cosa sta facendo. Devo dimenticarla, l’alcol almeno in questo, mi aiuta. Melissa è troppo da sopportare e quindi ingurgito altro rum. Ora sono ubriaco. È come se nell’aria sentissi una musica. Anzi c’è la musica, Jack ha messo a disposizione il computer, tipo juke box, chi vuole può fare da dj, selezionando una canzone dalla play-list.
È Pupo quello che sento?
Chi diavolo ha messo su una canzone di Pupo?
Melissa sorride e il suo sorriso non mi sembra più così terribile, mentre continua a parlare ma io non sono minimamente interessato ai suoi discorsi. La sua voce si mescola alla musica, mentre mi trascina per le mani. Balliamo sulle note di “Su di noi”, beviamo ancora, parliamo, fumiamo, beviamo, balliamo, poi mi porta con lei in una stanza. La seguo, su un letto e non so come, adesso è sdraiata sopra di me, ci stiamo baciando, lo stiamo facendo. Mi concentro sulle sue tette ma proprio non riesco a farmele piacere. Si agita, si dimena tutta e mi dice cose che per fortuna l’alcool mi aiuterà a dimenticare. Il suo viso ora é vicinissimo dal mio, con quell’espressione da furetto e l’alito che sa di birra, sigarette e formaggio. Ma lei è compiaciuta, nell’assoluta sicurezza di una sensualità che in questa stanza non è mai stata presente. E mentre lei sembra tutta impegnata, io cerco altri pensieri che mi allontanino da lei, anzi non penso più a nulla, perché sono troppo ubriaco per riuscirci.
Che sbaglio.
Vorrei che Mary fosse qui, desidero stringere il suo corpo, ancora una volta, solo un’ultima volta. Chiudo gli occhi e immagino di baciare le sue labbra, accarezzare i suoi seni. Ritorno con la mente a quella notte trascorsa insieme mentre consumo questo sesso senza valore.
Mi manca Silvia, i suoi capelli, il suo profumo, il modo in cui mi baciava e quello in cui mi accarezzava. Ma lei non risponde nemmeno più ai miei messaggi.
Sto impazzendo.
Le avevo scritto: “Ti prego, dimmi almeno che stai bene”.
Aveva risposto: “Non sto bene! Ma come puoi pensare che io stia bene! Jonathan, te lo chiedo per favore, non mi scrivere più”.
Non demordo, insisto, al che lei mi scrive, spiazzandomi totalmente: “Basta Jonathan, smettila! Non rendere tutto ancora più doloroso, non continuare a ripetermi quanto mi ami… L’amore da solo non è sufficiente! Te l’avevo detto, ogni piccola ferita è una crepa e una cosa rotta definitivamente, non può più essere riparata. Non dico di non avere colpe, non dico di essere perfetta ma voglio guardare in faccia la realtà. Se noi due non stiamo bene insieme, non posso continuare a fingere. Credi forse il contrario? È meglio per entrambi separarci e se non hai tu il coraggio di prendere questa decisione, lo farò io, per tutti e due. Per favore, se davvero mi vuoi bene, non mi cercare”.
Lessi quel messaggio.
Poi lo rilessi.
Nel silenzio. E nella solitudine.
Seduto su una sedia, fissavo il cellulare mentre lo scorrere del tempo sanciva definitivamente la fine del nostro rapporto, allontanando Silvia da me un poco di più, ad ogni secondo che passava. Composi un messaggio lunghissimo in cui le spiegavo ogni cosa. Poi lo cancellai. Lo riscrissi di nuovo ma dopo poche righe mi resi conto che non andava bene. Mentre sentivo una morsa stringere intorno alla gola, rilessi ancora una volta il suo messaggio. Come poteva dire che l’amore non basta? L’amore è la più grande forza esistente in natura. Se i suoi sentimenti nei miei confronti fossero cambiati, allora avrei capito, avrei accettato la sua volontà di starmi lontano. Ma se diceva di amarmi, perché fuggire? Così provai a chiamarla ma mi aveva già bloccato. Ma non sarebbe finita in quel modo, volevo a tutti i costi una risposta. Andai a cercarla nell’unico luogo in cui sapevo di poterla trovare, da Marta, sua sorella.
“Non è qui”.
“Sono certo sia qui”.
“Ho detto che non è qui”.
“Fammi entrare lo stesso…” urlo “Silvia, ti devo parlare! Silvia!”.
“Jonathan, smettila! Ti chiamerà lei, se si sentirà di farlo”.
“Ho bisogno che sappia quanto mi dispiace… quanto sto male senza di lei. Se davvero mi ama, perché ha deciso di fuggire”.
“Non rendermi le cose difficili… Johnny!”.
“Silvia, rispondi, ti prego!”.
“Adesso è meglio se vai”.
Questa mattina ho inviato venti rose rosse con un biglietto di scuse a casa di Marta. Silvia adora le rose rosse. È stata un’idea di Diego. Parlarne con lui, forse, è stato un altro terribile sbaglio. Ma mi ha visto prendere a pugni la macchinetta del caffè dopo aver provato a fare una telefonata. Così gli ho accennato di avere un problema con Silvia e lui mi ha convinto a venire a questa stupida festa. E sono finito pure a letto con Melissa, che per fortuna mi sta dicendo: “Non ti illudere. È stato divertente, ma non sono interessata ad una storia”.
Tu? Figurati io.
Poco dopo, sono di nuovo sul balcone, con Adele e Stephan. Non avrei mai immaginato di incontrare Adele proprio qui, sono mesi che non ho notizie di lei.
Averla vista, almeno, è una cosa positiva. Anche se non se la passa affatto bene. Indossa un berretto ed è senza capelli. È dimagrita molto negli ultimi mesi, è pallida, ha il viso scavato. Ma nonostante sembri sfiorita, è ancora bellissima. Io e lei siamo molto amici, abbiamo ancora un rapporto speciale. Mai avrei immaginato di incontrarla qui e soprattutto di scoprire che ha problemi di salute. Ma lei non mi dice nulla al riguardo ed io nemmeno glielo chiedo. In fondo in certi momenti è anche lecito fingere, c’è sempre tempo per affrontare la realtà. Mi sta passando una canna e mentre la fumo, ascolto la storia di Stephan. Lui proviene da non so quale Paese dell’Africa, è arrivato clandestino, su un barcone, da bambino. Di quell’esperienza ricorda la fame, la paura, il freddo, la stanchezza, i corpi ammassati, la puzza, un vecchio che ha avuto un malore, l’essere stato trattato come un animale. Oggi lavora come magazziniere, guadagna mille e cento euro al mese, sembra davvero orgoglioso. Inutile dirgli che quando mi va bene, guadagno più di tre volte il suo stipendio mensile, non merita una simile umiliazione. Guardo i suoi occhi stanchi e penso di essere davvero contento per lui, per i traguardi che sente di aver raggiunto. Gli porgo la canna, mentre lui continua il racconto. Guardo l’orologio, è tardi.
È ora di rientrare, ho anche sonno.
Mi ha fatto piacere rivedere Adele.
“Un giorno di questi ti chiamo”, le dico.
Poi torno a casa, a dormire.
Mi sveglio che è quasi mezzogiorno, ho un gran mal di testa. Mi preparo un caffè, lo bevo, mi butto sotto la doccia, mi sento meglio. Indosso l’accappatoio mentre suona il campanello.
Dallo spioncino vedo Silvia.
Le apro.
Lei indugia sul mio petto nudo, sorride. Dice: “Buongiorno, Signor Rose Rosse… Ieri ho sentito ciò che hai detto a mia sorella… Ci ho riflettuto… E quando stamattina ho visto queste…” annusa le rose.
Sorrido. Quindi ha funzionato. L’idea di Diego ha funzionato. Chi le capisce le donne. Sono felice che sia qui, ma non sento di meritare davvero il suo ritorno, soprattutto dopo aver appena trascorso la notte con Melissa.
La invito a sedersi.
I suoi occhi esprimono l’odio e ma anche la mancanza. È difficile per lei, lo so.
“Mi dispiace”.
“Non basta per me, Johnny. Hai idea di come io mi sia sentita?”.
“Posso immaginarlo. Il mio comportamento è stato…”.
“Da Marta ho avuto modo di riflettere. Sai cosa ho capito?” fa a una pausa, e io mi sento morire “La mia vita è con te” poi lo ripete lentamente “La mia vita è con te. Non sei perfetto, ma sei tu… e io ti amo” adesso sta piangendo “Mi farai soffrire ancora, lo so. Ma con te è meglio che da sola ed è meglio che con qualcun altro. Tutti hanno i loro difetti… E io scelgo i tuoi”.
“Davvero?”.
Le prendo le mani.
“Mi ci vorrà un po’ di tempo… Ma ti prego… tu devi aiutarmi! Perché se non potrò amarti, allora ti odierò e questa, davvero, è l’ultima cosa che voglio”.
La bacio, lei però è fredda. “Ehy…” si scosta.
Mi siedo sul divano e accendo una sigaretta. Guardo Silvia, mentre si prepara una tisana, non mi sembra vero che sia di nuovo qui, con me. Gli avvenimenti degli ultimi giorni mi hanno fatto capire ancora di più quanto la ami e quanta voglia io abbia di stare con lei.
Silvia è quella giusta.
Sì, è Silvia quella giusta e adesso anche Mary prende un posto completamente diverso nella mia testa. Forse anche quello con lei non è stato altro che un gigantesco sbaglio. E finalmente le cose si stanno riallineando, tutto sta tornando alla normalità. Questa è la vita che voglio, che desidero. Basta rischi, scappatelle, scorciatoie, illusioni, invenzioni. Il destino mi ha dato un’altra opportunità e questa volta non intendo sprecarla.
Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 5
Giovanni Maglietta
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