Niente di buono dopo il terzo cocktail – Ep.6

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Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 1

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 2

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 3

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 4

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 5

Silvia sta urlando.

Da settimane quasi non mi parla più e adesso sta urlando, perché sono rientrato tardi e non ho avvisato. Mi ha preparato una cena speciale. Ha passato il pomeriggio a cucinare l’arrosto con le patate per farmi una sorpresa.

Odio le sorprese.

Da bambino le adoravo. Poi succede che si comincia ad avere più coscienza di cosa desideri e farsi stupire diventa più difficile. Ci sono le aspettative tue e soprattutto ci sono quelle della persona che ti sta facendo la sorpresa. E se le infrangi, diventa un problema. Forse, senza aspettative mancherebbe un’importante spinta all’azione e non avremmo la stessa forza nel fare le cose. Ma credo che senza aspettative, sarebbe un mondo sicuramente migliore. Come stasera, per esempio.

Silvia non cucina mai un cazzo di speciale e proprio stasera ha fatto l’arrosto! E c’è un decanter con il vino rosso sul tavolo. Forse, come aveva detto Adele, vuole affrontare l’argomento. Ma io sono arrivato due ore dopo l’orario che aveva previsto per la cena. E sono completamente ubriaco, devastato, disperato.

Ho bevuto perché mai come oggi ho sentito il bisogno di staccarmi dalla vita, di non pensare. Adele sta morendo. Un cancro al fegato, allo stadio avanzato. Ha provato la chemio, ha fatto tutto il possibile ma la lotta contro questo male è servita solo a farla stare peggio. E Silvia mi sta urlando dietro perché ho fatto tardi a cena?

Ah, no, sta urlando perché sono ubriaco. Crede che sia andato a bere con i colleghi dopo il lavoro.

Le vorrei raccontare di Adele, ma non sa nemmeno chi è. Non capirebbe. E non ne ho la forza. Oggi in più, a lavoro, è stata una giornata di merda. Ho perso un cliente e domani mattina dovrò sorbirmi quel caprone del mio capo. Ho la nausea, solo a pensarci. Adesso anche lui starà cenando, spero gli vada tutto di traverso. Lo immagino mentre ingurgita schifezze seduto al tavolo di un fast food, che addenta un cheeseburger che sa di plastica, con la salsa che gli cola sulla guancia. Caprone, ruminante che si mangia anche l’involucro in polistirolo dei panini e poi addenta il tavolo e bela, come se fosse in calore. E immagino il suo ventre immondo gonfiarsi, assumendo le dimensioni di un pallone aerostatico. Vorrei vederlo scoppiare ma poi sai che fatica, togliermi quella schifezza di dosso? Ho la nausea, ma forse non è questo pensiero, deve essere per tutti i superalcolici che ho bevuto a stomaco vuoto. Non avrei dovuto fermarmi in quel bar. Ma ero sconvolto. Un uomo dovrebbe avere il diritto di essere sconvolto. Cazzo, conosco Adele da diciotto anni.

Silvia sta urlando ancora, dice che lei ci prova a far funzionare le cose, che mi ama. “Ma perché tu devi rendere tutto così difficile?”.

Alzo la mano, ho bisogno di una tregua. Vado in camera, mi lascio cadere sul letto, vestito. Chiudo gli occhi. Possibile che abbia ragione lei, che sia solo io lo stronzo?

Adele dice che quando due persone litigano, entrambe le parti hanno un po’ di ragione. Ci penso e in effetti, io mi sono impegnato. Ci ho provato davvero ad essere un buon compagno, anzi, credo di essermi impegnato molto più di lei. Ogni giorno, mi alzo presto per andare a lavoro e cerco di dare il massimo. Certo, il mio lavoro mi piace e mi da soddisfazioni, ma lo faccio anche perché guadagno bene e quei soldi ci permettono di avere una vita agiata. Lei così può dedicarsi alle sue passioni. Sta seguendo un corso di disegno. E si occupa della casa. Ma due volte alla settimana viene una domestica, quindi il suo impegno non è così elevato. E le vacanze, e lo specialista, e il robot da cucina che cucina da solo, e la borsa in cuoio con i pennelli giapponesi. Non potrebbe mai permettersi queste cose da sola, meriterei più rispetto, anche solo per il tenore di vita che le permetto di avere. Ma invece quando torno la sera troppo tardi si infuria, come se fosse colpa mia. Se sono stanco o stressato mi accusa addirittura di dedicare le migliori energie al lavoro. E pretende che passi i sabati pomeriggio nel centro commerciale a fare la spesa. “Io ho una macchina piccola e la tua non me la fai guidare, mi spieghi da sola come faccio?” dice.

Ed io come uno stronzo la porto pure, soltanto per sentirmi dire che a me non va mai di fare niente insieme e che deve sempre trascinarmi ovunque. Allora io ci provo a fare qualcosa insieme, qualcosa di bello però, come portarla al cinema, al museo, a teatro, a cena fuori. Ma lei non vuole. Dice che sta bene a casa, che non capisce perché dobbiamo uscire sempre, che la nostra reciproca compagnia dovrebbe bastarci. Dice che abbiamo una casa bellissima e che soffre perché non ce la godiamo abbastanza insieme. A volte mi sembra di essere rinchiuso in una lussuosa prigione e che lei sia il mio secondino. Ma se rimaniamo a casa, almeno prepara qualcosa di buono per cena. Invece no, la maggior parte delle volte sempre l’insalatina, con il petto di pollo che non sa di nulla o gli intrugli che ogni tanto prova a fare con quella specie di frullatore. Lei vuole che le serate siano sempre così, sotto al piumone d’inverno o con una birra d’estate, a guardare serie tv o film che sceglie lei, seduti sul divano. A parte stasera però, che io ho ricevuto una notizia devastante e lei decide di fare l’arrosto. E poi non facciamo più l’amore. Non capisco perché. Dice di desiderarmi, eppure quando mi avvicino, mi respinge. Forse sono io che sbaglio. Forse sono davvero io lo stronzo. E mentre lo penso, mi addormento.

Un’altra giornata di merda, un altro cliente perso, altri venti minuti ad ascoltare le grida di un ruminante che si ritiene tanto migliore di me ma che da solo non saprebbe fare nulla di buono. Esco dal lavoro e torno subito a casa, dove mi aspetta Silvia. Per litigare.

Penso che potrei comprarle delle rose rosse ma penso anche che forse non serve. Sicuramente l’addolcirebbero, ma da quando ho saputo di Adele, la vita intera ha perso significato. Voglio chiamarla, per chiederle come sta. Prendo in mano il telefono, mi fermo in mezzo alla strada. Nella mente scorrono tante frasi potenzialmente possibili con cui cominciare la conversazione: “Come stai? Ciao Adele, ti pensavo e… Ieri siamo stati bene insieme, è stato un bel pomeriggio… Ciao, volevo raccontarti di…”.

E mentre scandaglio tutte le possibili modalità in cui potrei iniziare la conversazione, la difficoltà all’idea di chiamarla cresce, come una montagna invalicabile. La stessa montagna che lei deve affrontare per restare in vita, la stessa montagna che io devo affrontare per capire come proseguire, nella mia storia con Silvia.

Metto in tasca il telefono, la chiamerò domani.

Silvia è in salotto, sul divano. Sembra mi stia aspettando.

Indossa un vestito che mi sembra una sorta di mise da combattimento. Pantaloni neri, una maglia grigia dal taglio severo. Ha raccolto i capelli come una maestrina. Questi vestiti le danno la forza di affrontare un litigio dal quale altrimenti teme di non uscire vincente. Lo so, la conosco. Lei pensa di essere più debole di me. In effetti, è più debole di me. Per questo quando vuole difendersi esagera e tende a urlare oppure ad assumere comportamenti estremi. Non regge la tensione, è come una lampadina alimentata da un generatore con continui cali di potenza. Ogni tanto l’intensità luminosa diminuisce, così come anche la sua intensità, durante i litigi, diminuisce.

“Ciao”.

“Ciao”.

“Sei rientrato presto oggi. È stata una buona giornata?”.

“No, è stata pessima!”.

“Senti dobbiamo parlare…”.

“Per ieri… Ti posso spiegare. Io…”.

“Non è per ieri.. Non solo per ieri, almeno. Guardiamo in faccia la realtà”.

“Cosa vuoi dire?”.

“Le cose tra di noi non funzionano più”.

Appendo la giacca all’attaccapanni, sperando di togliermi di dosso anche tutta la stanchezza e il senso di inevitabilità. Vorrei solo andare a dormire, e invece scendo all’inferno.

“Bé…”.

“Quindi la tua risposta è… Bé?”.

“Il giorno in cui ci siamo conosciuti… ricordi? Eravamo a quella mostra oscena”.

“Gli uomini in quei ritratti sembravano tutti scimmioni. Mettevano un’inquietudine…”.

Le afferro una mano. “Me lo ricordo bene. Abbiamo cominciato a prenderli in giro, quanto hai riso. Poi ti ho invitata a bere”, abbozza un sorriso.

“E chi se lo dimentica… Ci siamo beccati la pioggia, poi sotto quel tendone, tu mi hai abbracciato, per proteggermi dal freddo”.

Io: “Non c’è più quella magia, vero?”.

Lei: “No, non c’è più”.

Ci guardiamo.

È una bella donna. Ha qualche piccola ruga intorno agli occhi. Una volta le venivano solo quando sorrideva, come quella sulla fronte, quando corrugava le sopracciglia. Sono io ad aver spento il suo viso?

Sta piangendo: “Dobbiamo guardare in faccia la realtà… Tra di noi le cose sono cambiate e forse è giunto il momento che le nostre strade si separino”.

La abbraccio. La stringo forte a me. Le dò un bacio sulla guancia.

Rimaniamo così, in silenzio, per un tempo indefinito. Improvvisamente tutte le tensioni fluiscono, la luce ha recuperato la sua intensità. Svaniscono le lotte che abbiamo affrontato in questi ultimi mesi e rimaniamo solo io e lei, un ragazzo e una ragazza. La guardo negli occhi e per un attimo sono gli occhi della donna di cui mi sono innamorato.

È così dannatamente difficile, quando una storia finisce.

Ci si saluta e poi continuiamo a parlare, perché dopo l’ultimo saluto è per sempre o, almeno, è quella l’intenzione. È come spegnere lo schermo di un televisore mentre il film continua ad andare. Quando saluti per sempre, è così. Da quel momento in poi non ne saprai più nulla. La “Fine” è quell’istante che separa ciò che sta succedendo da ciò che avrebbe potuto accadere. È come quelle volte in cui guardavamo insieme il finale di una serie. Sei triste perché vorresti sapere ancora cosa succede nelle vite dei personaggi in cui stai proiettando la tua. Ma quando riguarda la tua vita è diverso, perché sei tu il protagonista e perché nella vita vera, per quanto a volte ce lo dimentichiamo, c’è molto più che in una serie televisiva. E perché anche dopo la “Fine”, la vita vera continua.

Sono tentato di baciarla ma se lo facessi, ci daremmo un’altra chance e nello stesso momento, l’incanto finirebbe. Invece, così, siamo noi, perfetti, felici.

Sembrano parole di Adele.

Forse non tutti sono fatti per vivere insieme. Anche tra chi si ama, c’è chi ci riesce e chi no. La cosa più triste è quando le difficoltà della vita distruggono il sentimento. Adele mi ha detto che lei ha scelto di non vivere l’amore perché un amore è puro ma quando lo vivi si consuma, perché la vita di tutti i giorni e la mediocrità dell’uomo lo rovinano. Ma non sono d’accordo, l’amore e la passione non hanno senso se non sono vissute, anche a costo di distruggerle e che poi non rimanga più nulla. Altrimenti la vita sarebbe troppo triste.

“È giusto così”.

“Sì”.

Ora sono sollevato. Una storia può finire in tanti modi e sono contento che questo finale ci permetterà di dare valore a ciò che abbiamo vissuto insieme, invece di consumarlo nelle fiamme della disperazione.

Le dico: “Puoi restare tutto il tempo che ti serve”.

“Grazie!”.

Si allontana da me, si siede sul divano, tira un sospiro di sollievo.

Io mi accendo una sigaretta, la assaporo lentamente e mentre si consuma, penso alla fine. Alla fine della mia relazione con Silvia e al fatto che Adele stia morendo. Vorrei chiamarla, ma questo non è il momento adatto.

Giovanni Maglietta

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 7

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