Niente di buono dopo il terzo cocktail – Ep.7

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Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 1

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 2

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 3

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 4

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 5

Niente di buono dopo il terzo cocktail – Episodio 6

Negli ultimi tre mesi, la mia vita è cambiata parecchio. Una volta c’era Adele, una ragazza bellissima e inarrivabile di cui sono stato innamorato fin dalle superiori. Abbiamo vissuto insieme per due anni, come coinquilini, insieme un’altra ragazza brasiliana, di nome Christie. Poi Adele se ne era andata, proprio quando tra di noi le cose avrebbero potuto diventare serie. Era riapparsa di recente nella mia vita quasi per caso, e così avevo scoperto il suo dolore. Ci eravamo incontrati ad una festa e dopo poco più di un mese in un bar, per un caffè. È stata l’ultima volta che l’ho vista. Ho provato a chiamarla, ma per un motivo o per l’altro, sentivo che non era mai il momento giusto. Adesso non potrò più farlo.

Sono stato al suo funerale, ma ad un certo punto sono dovuto andare via. Sono tornato a casa e mi sono attaccato alla bottiglia di whisky. Giusto qualche sorso, tanto non mi aiutava a stare meglio. Ho passato il pomeriggio sdraiato sul letto, nella mia casa che adesso è  vuota. È vuota perché due mesi fa io e Silvia ci siamo lasciati, dopo due anni di convivenza. È stato devastante rendersi conto che la convivenza stava rovinando il nostro sentimento, per fortuna siamo rimasti amici. Ci siamo anche visti, qualche volta, in queste sere. Credo di essere ancora innamorato di lei ma stiamo bene così, per ora. Lei sembra più felice. Vedere quanto una persona che hai amato tanto stia meglio senza di te, può essere devastante. È qualcosa che ti uccide dentro, ogni volta in cui pensi a lei, ad ogni momento in cui credevi che l’avresti resa felice, a tutte quelle situazioni che formano le pagine del libro della vostra vita insieme ma che parlano soprattutto di incomprensioni, delusioni, litigi e sofferenza. È il primo capitolo del mio annullamento personale.

Squilla il telefono. Sul display compare l’immagine di Peppa Pig. È ancora Melissa. L’unica notte trascorsa insieme è persa nei ricordi offuscati dei troppi rum e cola bevuti per sopportare la sua compagnia. Eppure sono finito a letto anche con lei. Questo è davvero svilente, sono davvero un pessimo uomo. Devo avere dei problemi. Ma perché ci siamo scambiati i numeri di telefono e perché adesso, all’improvviso continua a chiamarmi? La prima volta, settimana scorsa. Quando ho visto l’immagine di Peppa Pig stavo quasi per rispondere. Non ricordavo più di averla messa come “warning” per non dimenticare. Avevo rimosso completamente Melissa dalla mia vita, non ricordo neppure il suo volto. Ma poi ha chiamato ancora. Ieri altre due volte. E poi ancora adesso. Se continua ad essere così insistente, o la blocco o dovrò rispondere. Ora proprio non me la sento, però.

La richiamerò.

Questa sera mi vedo con Silvia. Ha saputo di Adele. Paradossalmente, dopo che ci siamo lasciati è diventato semplice raccontarle tutto. Ha capito anche perché non riuscivo a parlargliene prima e mi è stata vicina, come una vera amica. Sa che ho bisogno di compagnia e così stasera ceniamo insieme in un ristorante giapponese. Assurdo!

Mi preparo, pensando che tanto quanto non mi importava quando stavamo insieme, tanto ci tengo adesso. Voglio essere al meglio per lei. E quando la vedo capisco che lei pensa lo stesso, perché è bellissima.

Ceniamo, parliamo, ridiamo, poi io mi incupisco. “Sì, il resto va bene… ma questa cosa, proprio non riesco a superarla”.

Parliamo tutta la sera, le confido le mie paure, le mie debolezze e senza che ce ne rendiamo conto, sale da me. Beviamo insieme un goccio di whisky, allungato con l’acqua per lei, liscio per me. Poi un secondo bicchiere e poi un terzo. Parliamo tutta notte e ci addormentiamo sul divano, uno vicino all’altra. La sua testa sulla mia spalla.

Sono trascorse altre tre settimane e stamattina ci siamo svegliati di nuovo vicini, io e Silvia. Questa volta in un letto. Questa volta dopo aver fatto l’amore. Ed è avvenuto in modo così naturale che quasi non riesco a crederci. Stava in piedi, indossava un vestitino in seta nera e scarpe col tacco. Le sue gambe di cui sono sempre stato estimatore, erano scoperte. Erano più toniche nell’ultimo periodo, doveva aver ripreso ad allenarsi. Stava sorseggiando il vino bianco che le avevo appena versato. È stato nell’istante in cui abbassava il calice ed io glielo impedivo, che tutta la magia ritornava di colpo. L’ho costretta a bere tutto il vino, con un gesto forte ma delicato. Poi le ho tolto il bicchiere di mano, lasciandolo cadere sul pavimento e le ho dato quel bacio che temevo di aver perso per sempre, insieme a tutte le cose che avevo già perso di lei. La sua bocca dischiusa, le nostre lingue che si muovevano con la solita familiarità ma come se al tempo stesso fosse tutto nuovo, labbra mordicchiate e bocche inumidite, mentre la passione cresceva tra noi.  Così ho rotto ogni indugio, spingendo il mio inguine contro il suo e guidandola in quel movimento, mentre la baciavo e l’accarezzavo, eccitato dal tocco del suo corpo, attraverso la seta del vestito. L’ho sbattuta contro il muro e lei ha sollevato una gamba per stringermi a sé, poi ha detto: “Prendimi”. E allora mi sono sbottonato i pantaloni e ho eseguito il suo ordine, proprio lì, contro la parete. Infine è stata lei a spingermi dandosi lo slancio contro il muro su cui la sbattevo, dicendomi: “Andiamo in camera”. E come accade in questi momenti, quando non vuoi perdere l’energia che si è creata, corri anche un po’ goffamente verso il letto, con i tuoi gioielli in bella vista fuori dai pantaloni. E magari afferri la bottiglia di vino e la porti con te, scolandotela mentre cammini, mentre ti spogli, mentre lei si spoglia, finché vi ritrovate nel letto avvinghiati e giocosi, mentre tu le versi il vino sul suo monte di venere e bevi, facendola poi godere con la tua lingua e i tuoi baci. Almeno finché lei non ti ripete nuovamente: “Prendimi” ed ancora una volta tu esegui i suoi ordini. Adesso lei è di nuovo sotto di me, girata di spalle, con il ventre su un cuscino. Si fa prendere da dietro mentre io ammiro incantato le sue natiche e mi innamoro della curvatura della sua schiena sudata. Accelero e rallento, poi la sfioro soltanto e mi allontano, facendo accrescere il desiderio finché il suo corpo non resiste e poi torno dentro di lei e gioco con lei e mi dedico a lei, finché non la sento urlare mentre anche io mi abbandono all’orgasmo. Dopo, ci addormentiamo abbracciati.

È da qualche sera che ormai si ferma di nuovo da me a dormire.

La amo, lo so.

Ieri sera le ho fatto la proposta.

“Silvia mi vuoi sposare?”.

“Sì, lo voglio”.

Ho capito che se non funziona con lei, non può funzionare con nessun’altra. Silvia è speciale. Sono così felice che tutto si sia sistemato tra di noi. Faremo le cose con calma ma ce la faremo. Ne siamo sicuri, finalmente.

Mentre lei è sotto la doccia, controllo Facebook. Ho qualche nuova richiesta di amicizia. Never Rose? Non la conosco, non abbiamo amici in comune e la foto di profilo è una rosa rossa. Il fiore preferito di Silvia, che ironia. Una sensazione mi dice di accettare la richiesta.

Mentre scrollo tranquillamente la bacheca, ecco comparire Peppa Pig sul display.

Quella pazza, perché non mi lascia in pace?

Appena sarò solo, la chiamerò e le dirò di non disturbarmi mai più.

Mi arriva un messaggio da Never Rose: “Ciao, ti ricordi di me?”.

“Scusa, ma non riesco a capire chi sei. Ci conosciamo?”. Non ho voglia di giochetti.

“Sono Mary! Maria Rosa”.

Non può essere. Provo insieme una sensazione di felicità e al tempo stesso un brivido di terrore. È una sensazione simile a quella provata il sabato pomeriggio in cui ci eravamo conosciuti, quando mi aveva tamponato in macchina ed era come se mi avesse tamponato il cuore. Lei era sposata e io avevo una compagna. Ma le lamiere dei nostri incidentati rapporti si erano piegate e aggrovigliate tra loro, imprigionandoci in una gabbia che ci proteggeva dalla realtà, in cui avevamo provato un amore puro e intenso, anche se irreale.

“Ho lasciato mio marito perché dopo il nostro incontro non riesco a pensare a nient’altro che a te”.

Tempismo perfetto.

Sento Silvia che canta sotto la doccia, ha una bellissima voce. Chiudo gli occhi e provo una sorta di formicolio, immaginando le sue mani insaponate che esplorano il suo corpo. Immagino un tocco più delicato e sensuale di quello che in questo momento starà davvero utilizzando. Mi piace pensare che la sua mente ritorni a ieri sera e che questa cosa la ecciti. E mi piace credere che questa eccitazione la conduca a toccarsi, in quel modo che solo immaginarlo, mi toglie il respiro. La sua voce è una melodia che crea la vibrazione di un crescendo in cui, il mio cuore in tumulto sta analizzando ciò che desidera. Amo Silvia, lei completa la mia esistenza ed io la sua. Ho imparato che renderla felice, può rendermi felice a mia volta. Ma il messaggio di Mary riporta a galla interrogativi sopiti, di realtà che avrei potuto vivere e non mi sono state concesse. Anche Mary era sotto la doccia, poco prima di sparire dalla mia vita per sempre. Avevo rubato l’immagine del suo capezzolo intravisto attraverso l’accappatoio, per avere un ultimo ricordo di lei, della sua sensualità e del suo corpo. Era un altro capitolo chiuso del libro della mia vita. Invece ho di nuovo l’opportunità di rivedere quel corpo, toccarlo, baciarlo, farci l’amore. Devo prendere immediatamente una decisione, devo fare la cosa giusta, devo essere forte. La mia vita sta tornando ad essere perfetta, non posso cedere adesso.

Mi scrive: “Quando ci siamo incontrati per la prima volta, era il momento sbagliato. E adesso, invece?”.

“Adesso è tardi, ed è meglio se non ci sentiamo mai più”. Questo avrei dovuto rispondere o avrei potuto non rispondere affatto. In entrambi i casi, sarebbe andato bene. Invece, non riesco a mentire: “Nemmeno io ti ho dimenticata”.

A volte, semplicemente, le situazioni si complicano.

Come se ci fossimo riconnessi a quell’intimità vissuta in quell’unica notte trascorsa insieme, chattiamo di filato, praticamente di ogni argomento. Sta insistendo per un incontro, questo pomeriggio.

Vorrei rifiutare, ma lei non demorde. Mi vuole parlare. Io con lei non voglio parlare, ma non ho la forza di rifiutare l’incontro. Saluto con un bacio Silvia quando esce di casa e mi preparo, sperando di svegliarmi a forza da questo incubo.

Poi squilla il telefono: ancora Peppa Pig.

Rispondo, spazientito: “Pronto”.

La sua voce è grave, impaurita e risoluta al tempo stesso: “Ciao. Ti devo parlare. È molto importante”.

Anche lei. Cosa diavolo vuole da me Peppa Pig?

Ragiono. Se mi organizzo per vedermi con lei, subito dopo Mary, ho una scusa per andar via ad una certa ora. Questa potrebbe essere la mia salvezza, se le cose dovessero degenerare.

Mary indossa una minigonna che toglie il fiato e mi guarda come se volesse saltare dall’altra parte del tavolino del bar e scoparmi. Sono felice che ci sia tanta gente in questo posto, perché ciò mi aiuterà a gestire la situazione, a rimanere calmo, a troncare questo rapporto sul nascere.

Per sempre.

Mi dice a bassa voce, quasi come se mi stesse facendo un confidenza: “Avevo una vita felice, o almeno credevo fosse così. Poi ti ho incontrato e da allora sei diventato un’ossessione. Prova a dirmi che non è lo stesso per te?”.

“Bé, io…”.

“Non puoi. Nemmeno mi conoscevi e mi hai dichiarato il tuo amore”.

“Non so perché l’ho fatto. A volte si dicono delle cose… così, sull’emozione del momento. Poi la realtà è un’altra però…”.

“Davvero? Io ho lasciato mio marito, per te”.

Siamo due particelle con carica opposta obbligate ad attrarsi l’una all’altra dalle leggi della fisica. La guardo e mi sento attirato, mentre il sangue pompato a maggior velocità dal mio cuore porta al cervello i frammenti dei ricordi delle emozioni vissute insieme in quella camera d’albergo, di quei momenti di assoluta perfezione al di la del tempo e dello spazio. Vorrei che fosse così ma il mio volere è sottomesso ai desideri. Ripenso a quel giorno in cui con Silvia abbiamo parlato di PNL, all’istante in cui guardandola negli occhi, ho avuto la mia personale rivelazione. Ora sto cercando ad ogni modo di evitare lo sguardo di Mary, perché ho paura di quello che potrei scoprire. Nella mia mente i pensieri vorticano senza sosta, attraverso parole confuse. E non sono certo le parole a plasmare i pensieri ma le emozioni. Devo andarmene ma non posso fare altro che rimanere qui di fronte a lei, incapace di parlare.

“Vuoi forse rinnegare quello che c’è stato tra di noi? L’intensità di quello scambio? Il modo in cui le nostre anime si sono unite? Ora… Ci ho messo molto tempo, forse troppo… lo ammetto, ma capisci che non è semplice, vero?”.

“Non è mai semplice”.

“Io ti amo”.

Mary… non puoi dirlo davvero. Noi non ci conosciamo”.

“Ma ci amiamo. Puoi affermare il contrario?”.

“Questa situazione è assurda”. Mi guardo intorno, come se qualcuno potesse salvarmi. Ma nessuno può. Magari mi venisse un infarto.

“Forse”.

Posa una mano sulla mia e una scossa mi attraversa. Silvia non mi dà questa sensazione.

Mi sta venendo da piangere.

I suoi occhi si addolciscono, assume un tono comprensivo: “Mi dispiace essere rientrata in questo modo nella tua vita. Forse non ne ho il diritto ma non riuscivo più a stare senza di te e nel mio cuore sapevo che anche per te è lo stesso. Ne sono sicura”.

“È stato un periodo molto difficile. È venuta a mancare una mia amica… Adesso mi cogli impreparato. Lasciami per favore del tempo, per metabolizzare la cosa”.

Non so cosa sia accaduto esattamente ma i suoi occhi hanno avuto un guizzo. Il suo volto è stato attraversato da un’espressione impercettibile, accompagnata dalla paura di essersi sbagliata e dalla comprensione del mio bisogno di tempo. “Capisco”.

Ed è così che riesco ad andarmene.

Nemmeno mezz’ora dopo, sono seduto ad un altro tavolino di un altro bar in un quartiere della città in cui non vado mai. Davanti a me c’è Melissa. Non è decisamente la stessa bellezza di Mary, ma ha negli occhi una determinazione che l’altra volta non avevo colto. Chissà cosa vuole.

“Non ci sono modi semplici per dire certe cose, per cui te lo dirò e basta Sono incinta. E il figlio è tuo”.

“Che? Stai scherzando…”

Shock, incredulità, rabbia, confusione, sono sopraffatto dalle emozioni. La prima reazione è di non crederle. Come fa ad essere sicura che sia io, il padre, che cazzo?

“Per favore, non svilirmi ulteriormente, ti assicuro che sei tu il padre. È già umiliante così”.

Parliamo a lungo, entrando in dettagli privati che mi fanno capire che difficilmente sta mentendo. E io sento la mia vita sgretolarsi. Merito davvero tutto questo?

Poi dice: “Cosa vogliamo fare?”.

Non rispondo. Non so se il tempo si sia fermato o stia continuando a scorrere ma io sono immobile, nei movimenti, nei pensieri, nelle emozioni, nelle percezioni. Sono in un luogo lontano dello spazio tempo, dove non esistono Mary e Melissa e dove tutto si è fermato all’istante di perfezione dell’ultimo bacio di Silvia, prima che questa mattina andasse a farsi la doccia.

“Jonathan!”.

“Scusa. Oggi è stata una giornata assurda. Ho bisogno di metabolizzare la notizia” le afferro una mano, e le sensazioni sono assolutamente diverse da quelle del tocco di Mary. Anzi, non provo alcuna sensazione, è come toccare un pezzo di legno. La guardo negli occhi.

“Ti prometto che affronteremo insieme questa situazione ma ti chiedo un po’ di tempo”.

Con la promessa di riaggiornarci al più presto, ci salutiamo.

Mi accendo una sigaretta.

Cammino per i viali alberati, mi accendo una sigaretta.

Mi siedo su una panchina e aspetto non so bene cosa, mentre la sigaretta che non fumo si consuma tra le mie dita.

Continua…

Giovanni Maglietta

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